“Non è più come una volta”: questo non è, o non dovrebbe essere, un ritornello dolente, ma è un dato di realtà nei confronti del quale agire e proseguire con le attività.Il variegato mondo del volontariato, infatti, si trova dinnanzi una realtà che è cambiata, ma non per questo è meno ricca. Perché se è vero che il ricambio generazionale è difficile, se è vero che le nuove leve non abbracciano i servizi proposti per un arco di tempo che va dalla giovinezza sino all’età della pensione e oltre, le ragazze e i ragazzi che fanno volontariato ci sono, sono numerosi, desiderano offrire il proprio contributo costruttivo. Desiderano crescere, anche se, a volte, non sono incasellabili e non vogliono essere incasellati, ma rispondono a esigenze che sorgono in circostanze particolari. Inoltre, comprendono che il servizio di volontariato che hanno scelto si deve inserire in una quotidianità che muta.“Emerge un volontariato più slegato dalle associazioni – sottolinea Stefano Arduini, direttore di
Vita -. Penso al momento delle alluvioni: c’è meraviglia per questi ragazzi che vanno ad aiutare senza nemmeno conoscersi”. Arduini fotografa quindi il mondo del volontariato, evidenziando come, a un effettivo calo dei volontari, corrisponda però un “non venir meno dell’impegno civile dei giovani”. “A fronte di un calo all’interno delle organizzazioni strutturale, sta emergendo un volontariato un po’ slegato dalla casacca – prosegue Arduini -, che si muove su emergenze o su tematiche che hanno una vita più breve. Il fenomeno emergente è quello quindi di giovani che si mobilitano soprattutto nel momento in cui hanno la percezione netta che possano incidere, che nel loro piccolo possono cambiare il mondo”. Le associazioni, quindi sono invitate a muoversi per recuperare un dialogo con i giovani, valorizzandone il contributo: “Dal punto di vista delle organizzazioni – approfondisce Arduini – è importante rendere evidente l’incidenza che i volontari hanno sulle azioni, non costringerli dentro una filiera operativa nella quale non vedono la ragione per la quale stanno operando. Poi c’è un fattore culturale di cui tener conto: oggi siamo in un mondo in cui un ragazzo ha molte più occasioni di spendersi e di diversificare le esperienze. Pensiamo alla possibilità di mettersi in comunicazione con tutto il mondo, di viaggiare con minori spese; quindi un giovane può spendere il proprio impegno civico in modi diversi. È comunque un impegno civico che è diverso dal passato. Il nostro non è un Paese meno solidale di una volta, sono cambiate però le dinamiche”.I ragazzi inoltre debbono trovare spazio all’interno delle organizzazioni, come rimarca ancora Arduini: “Ciò consente ai ragazzi di vivere esperienze di responsabilità. Che è poi ciò che chiedono. I giovani devono essere responsabilizzati. Una riflessione da parte delle associazioni su questo punto dovrebbe essere fatta. Le azioni di volontariato devono essere spazi di crescita”.Spazio di crescita personale, spazio di libertà, luogo in cui trovare soddisfazione: Gianni Borsa, giornalista, presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana, punta su questi elementi per presentare qual è il progetto educativo e di accompagnamento che l’Ac porta avanti. Quello dell’Azione Cattolica è un volontariato che si svolge nell’ambito dell’educazione e, nello specifico, dell’educazione cristiana di bambini, ragazzi, giovani e adulti. “I nostri volontari sono o educatori, con una intergenerazionalità del volontariato educativo, o responsabili, che sono sempre volontari e si curano del gruppo, organizzando diverse attività. Abbiamo un progetto educativo dal quale emergono linee guida. A Milano attiviamo percorsi di educazione dei volontari che spesso sono più un’educazione di tipo pedagogico. Poi esiste una formazione che è preparazione spirituale, perché al fondo ci vuole un’esperienza personale di fede che sostenga l’azione”. “Infine c’è un’educazione al senso del volontariato – prosegue il presidente dell’Ac ambrosiana - al perché ci si mette, anche umanamente, al servizio degli altri. Ciò è importante sia per la continuità del servizio, sia per la coerenza del servizio stesso. Compi il servizio in relazione alla fede. Un’altra osservazione riguarda la condivisione dell’impegno del volontario: è importante che il volontario non si senta solo. Tutti coloro che fanno un servizio di volontariato, educatori o responsabili, condividono l’impegno con altri, in modo da sentirsi accompagnati. Quando organizziamo momenti formativi e di condivisione, lo facciamo per far comprendere ai volontari che non sono soli, che possono essere accompagnati dal punto di vista spirituale e umano. Dico sempre una cosa: che il senso del servizio che facciamo, del volontariato, deve aiutarci a crescere personalmente. Questa è una verifica che dobbiamo fare. Il volontario, il responsabile, si domandi sempre se ciò che ha fatto abbia dato di più a sé, come donna, come uomo, come credente, perché se non cresci nel servizio, vuol dire che c’è qualcosa che non va”.Ciò significa anche fare i conti con le circostanze nelle quali una persona si trova, che possono condurre a interrompere o a sospendere il proprio servizio. “Il volontario – afferma Borsa - non deve scoppiare; il volontario va aiutato a fare bene quando può farlo; ci sono dei momenti nella vita in cui non può fare il proprio servizio educativo”.“I giovani in Ac si sentono sostenuti, perché si fanno percorsi insieme - conclude Gianni Borsa -. Sono giovani come altri, non insistiamo mettendo sulle loro spalle un carico troppo pesante, dicendo loro che quel servizio debba essere ‘per sempre’. Abbiamo bravi educatori che magari lo fanno per tre, quattro anni. Se le circostanze cambiano, possono lasciare il compito, cambiare le proprie azioni. Chiediamo però un’attenzione al ricambio, individuando qualcuno che possa prendere il loro posto. La prima educazione che dobbiamo fare è quella alla libertà: che ciascuno giochi la propria vita, il proprio tempo, la propria fede, come, dove, quando vuole. Se uno è libero, dà il meglio di sé; se uno è caricato di troppe responsabilità, è ‘ingabbiato’, alla fine scoppia e sparisce. Certo, insistiamo sul fatto che la vita vada spesa bene”.La “casacca” che può contraddistinguere un volontario, quindi, non deve diventare una gabbia. Il volontario, soprattutto se giovane, cerca spazi in cui essere utile, valorizzato, protagonista, senza avvertire il peso di pretese eccessive, ma sentendosi accolto, accompagnato, sostenuto per offrire all’altro, nelle maniere differenti che ciascuna associazione propone, il meglio. È per questo che una realtà antica, come quella delle Misericordie, ha a cuore l’aspetto dell’accoglienza e dell’accompagnamento del volontario. Gianluca Staderini, direttore generale della Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia, sottolinea infatti come, al centro dell’agire, ci debba essere la cura delle relazioni. “Come rete nazionale abbiamo messo in atto una serie di percorsi, come i campus per i giovani, che incontriamo ponendo loro una serie di temi; il primo si è svolto a Trento e ne seguiranno altri. Poi c’è l’aspetto formativo; lavoriamo sui nostri animatori, che sono le figure di riferimento sui territori. Parlare coi giovani oggi è diverso, rispetto a un tempo, sono diverse le loro esigenze. Stiamo lavorando per fare ciò che le Misericordie da otto secoli fanno, ovvero saper adeguare la propria struttura alla realtà. Una delle attenzioni che abbiamo è quella dell’accoglienza. Il punto fondamentale è come curiamo l’accoglienza dei ragazzi che arrivano alle Misericordie. Ciò per farli sentire parte di questa comunità, che è composta da giovani e meno giovani. Poi vogliamo continuare su questo, curando la presenza in Misericordia. Perché abbiamo constatato come ci siano ragazzi che si avvicinano alla Misericordia, iniziano a fare servizio e poi, anche maniera improvvisa, si allontanano. In questo caso torna il tema dell’attenzione che ci deve essere, nell’andare a cercare chi si è allontanato, capirne il motivo. È fondamentale la relazione tra volontari”.Un volontariato attivo, quello delle Misericordie, che mette le persone a contatto con sofferenza e povertà, che interpella, che può far sentire protagonisti di un piccolo o di un grande cambiamento per un altro. Le ragazze e i ragazzi hanno desiderio di essere valorizzati e ciò li può portare a sviluppare quello che Staderini chiama “senso di appartenenza”. “Oggi è più complicato riuscire a suscitare un senso di appartenenza. Non è vero che i ragazzi non vogliano mettersi a servizio degli altri nel volontariato. Nel periodo delle alluvioni ciò è evidente. Noi abbiamo chiamato gli “angeli del fango”, per esempio a Campi Bisenzio, per rendere più fruttuosa la loro presenza. Li abbiamo valorizzati, non incasellati, perché ciò sarebbe sbagliato. Se capiscono di far parte di una realtà, che ovviamente ha delle regole, che ha una storia, nel nostro caso radicata nei valori cristiani, che va rispettata, possiamo camminare con loro. Essendo noi un movimento, dobbiamo avere la capacità di fermarci, di aspettarci, per rimanere tutti insieme, non necessariamente alla stessa velocità, perché non tutti hanno le stesse esigenze, le stesse motivazioni”.