Le parole rivolte ai bambini possono essere dolci o terribili. Possono avere effetti benefici ma anche conseguenze pesantemente negative con ricadute psicologiche capaci di segnare in profondità l’equilibrio dei piccoli.
Quando poi la parola diventa insulto, minaccia, intimidazione, i risultati possono essere nefasti. E quando, soprattutto, i piccoli fanno esperienza in famiglia di questo lessico deteriore, la violenza verbale diventa abuso. Spesso non si pensa al fatto che, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, proprio la parola è la forma più diffusa di maltrattamento infantile tra i 55 milioni di bambine e bambini che in Europa subiscono abusi. Il dato arriva dal dossier Cesvi - Indice regionale sul maltrattamento e la cura all’infanzia in Italia – dal titolo “Le parole sono importanti”, il cui focus è dedicato al ruolo del linguaggio nel maltrattamento e nella cura all’infanzia. Lo studio si concentra sull’impatto del linguaggio abusante. Quello che emerge dallo studio, presentato questa mattina a Roma, è che uno degli strumenti per la prevenzione del fenomeno è investire sull’educazione alla cura e al linguaggio positivo di bambini, genitori e comunità educante, partendo proprio dalla formazione dei professionisti e dalla ricerca di un linguaggio condiviso su maltrattamento e cura nei tavoli di coordinamento territoriale.Ecco perché, quando si parla di abusi, non bisogna dimenticare quelli inflitti con le parole che possono avere pesanti conseguenze sulla salute mentale, sia nell’età dell’infanzia sia una volta diventati adulti. La nuova edizione dell’Indice Cesv
i, redatto dalle ricercatrici Giovanna Badalassi e Federica Gentile, considera il ruolo del linguaggio nel maltrattamento e nella cura di bambine e bambini, rilevando quanto sia fondamentale una comunicazione da parte degli adulti che promuova un’idea positiva di sé stessi e che sviluppi la sicurezza emotiva. Forme di abuso verbale, come gli insulti e la denigrazione, hanno un impatto negativo sulla crescita, non solo nella percezione del senso di sé, ma anche nel comportamento appreso attraverso l’imitazione.Ma che conseguenze possono derivare dall’abuso verbale? Nel dossier si dice che possa determinare un forte ritardo nello sviluppo del linguaggio e nella comprensione in bambini di età tra 0 e 6 anni, violenta aggressività verbale dopo i 10 anni, spesso svalutante e discriminatoria come bullismo e cyberbullismo, sessualizzazione precoce e inconsapevole.La violenza verbale di bambini e adolescenti può essere influenzata da social media, musica e coetanei, ma soprattutto da quanto ascoltato in
famiglia, sia tra genitori e figli, sia tra i genitori. «L’abuso verbale in famiglia – si spiega - è spesso legato alla pedagogia “nera”, retaggio di valori educativi arcaici ancora oggi adottati, con cui si dà legittimazione “morale” a comportamenti maltrattanti o abusanti. L’inconsapevolezza del peso delle parole può far sì che i genitori pronuncino insulti con intenzioni “affettuose” o “educative”, usando toni ed espressioni umilianti e sprezzanti».In questo scenario, emerge l’importanza dell’utilizzo di un linguaggio positivo e orientato alla cura come presupposto fondamentale per il cambiamento: una piena consapevolezza del suo valore nel rinforzare i fattori protettivi, superare traumi importanti, contribuire al recupero psicofisico e allo sviluppo armonioso di personalità ferite negli anni più delicati della crescita. «Il maltrattamento all’infanzia è un grave problema sociale, che ha conseguenze negative sulla salute fisica e mentale di chi viene maltrattato sia nel breve sia nel lungo periodo, ma anche su tutta la comunità», ha sottolineato Stefano Piziali, direttore generale Cesvi che ha ricordato l’impegno della fondazione con le Case del Sorriso nel lavoro di prevenzione e di cura. In queste realtà, ha aggiunto «un’attenzione specifica viene data al linguaggio, inteso sia nel rapporto tra professionista e beneficiario, sia come strumento per costruire un dialogo positivo nei nuclei familiari, sia come mezzo per esprimersi ed esternare il proprio stato d’animo. A partire dalla parola è possibile gettare le basi per una vita più degna per bambini e bambine a rischio».Per quanto riguarda le differenze regionali, l’Indice 2024 mette in luce ancora l’impatto della pandemia, ma si rilevano i primi segnali di ripresa, che andranno consolidati.
«Le Regioni italiane dove il contesto legato ai fattori di rischio è più favorevole a bambine e bambini sono Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, stabili al primo e secondo posto dalla precedente rilevazione. Seguono Emilia-Romagna e Lombardia, che – spiega ancora il dossier - salgono rispettivamente di una e di due posizioni arrivando al terzo e quarto posto, e poi Veneto, che dal terzo passa al quinto posto. Il fattore di rischio complessivo è massimo invece in Campania, all’ultimo posto e preceduta nell’ordine da Sicilia, Puglia e Calabria, tutte invariate rispetto alla rilevazione precedente».Rispetto ai servizi di prevenzione e cura del maltrattamento all’infanzia, la Regione con la miglior dotazione strutturale è l’Emilia-Romagna, seguita da Veneto, Toscana, Valle d’Aosta, Umbria e Sardegna. E le Regioni con le maggiori criticità?
La Campania è all’ultimo posto in posizione invariata, preceduta dalla Sicilia al penultimo posto, peggiorata di un gradino, e ancora Calabria e la Puglia, entrambe in peggioramento. Tutte regioni sono considerate “ad alta criticità” perché, a fronte di fattori di rischio elevati, non corrisponde una reazione del sistema dei servizi, rimasti al di sotto della media nazionale. Tra queste regioni anche Molise, Basilicata, Abruzzo, Lazio e Piemonte. Infine, l’Indice Cesvi indaga la capacità di fronteggiare il maltrattamento all’infanzia. Nella sintesi tra fattori di rischio e servizi, l’Emilia-Romagna si conferma al primo posto. Seguono Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, nelle stesse posizioni dalla precedente edizione, così come la Lombardia. «Le Regioni con le maggiori criticità rimangono Sicilia e Campania. Le Marche migliorano di tre posizioni, la Valle d’Aosta di due, l’Umbria, la Sardegna, l’Abruzzo, la Basilicata, il Molise e la Calabria di una. Peggiorano di tre posizioni la Liguria, il Piemonte e il Lazio, mentre la Toscana e la Puglia perdono una posizione ciascuna».