Famiglia

Genitori. «Investire sui padri fa bene ai figli. E alle aziende»

Fabiana Martini venerdì 8 marzo 2024
Cosa c’entra la parità di genere con il Centro per la Salute del Bambino, la genitorialità con le aziende e soprattutto cosa c’entra una manager, che per anni ha fatto il commerciale per una grande compagnia telefonica, con una onlus che da un quarto di secolo si occupa di accompagnare le mamme e i papà nei primi mille giorni dei loro bambini e bambine, quell’arco di vita che segna nel bene e nel male tutto il resto della nostra esistenza?

Ce lo spiega Mara Piasentin, da oltre due anni responsabile del welfare aziendale del Centro per la Salute del Bambino (CSB), un ente del Terzo Settore che dal 1999 diffonde buone pratiche a supporto della maternità e della paternità anche attraverso programmi come Nati per Leggere e Nati per la Musica e progetti come i Villaggi per Crescere, questi ultimi attualmente attivi in diciannove centri distribuiti su tutto il territorio nazionale.

Perché dopo un quarto di secolo di esperienza il CSB ha iniziato a occuparsi di welfare aziendale? Cosa c’entra lo sviluppo precoce dei bambini e delle bambine con il mondo del lavoro?

Le aziende sono spazi di vita, i dipendenti possono anche avere dei figli e spesso li hanno: quando rientrano al lavoro dopo la nascita del bambino, devono trovare un equilibrio tra il nuovo ruolo di genitore e quello precedente di lavoratore. È importante che si sentano protetti e compresi anche all’interno dell’ambito professionale.

Lei si riferisce a entrambi i genitori, ma la verità è che la gestione del ritorno al lavoro dopo l’arrivo di un figlio è questione che in Italia riguarda ancora quasi esclusivamente le madri.

Considerata la situazione dei congedi di paternità in Italia (attualmente sono dieci i giorni obbligatori previsti, ndr), versante sul quale il CSB è molto impegnato anche grazie alla partecipazione a due progetti europei, sembrerebbe effettivamente così, ma la verità è che oggi, quando si parla di famiglie, occuparsi dei padri non è più un’opzione: anche nel nostro Paese la paternità si sta evolvendo e sta andando verso un modello accudente, che è il frutto di molti cambiamenti. È cambiata la società, sono cambiati i padri, sono cambiate le aspettative delle donne. Non bisogna tuttavia dimenticare che è un cambiamento lento e a più velocità, che si scontra con stereotipi di genere nella cura durissimi a morire. Quelli, ad esempio, che fanno dire a un padre, che ha appena scelto di prendersi del tempo per stare con suo figlio: “Vado a fare il mammo”. Ciò nonostante pensare alla famiglia escludendo il ruolo del padre è oggi impossibile oltre che ingiusto: impossibile perché i giovani uomini vogliono essere parte di questo progetto, ingiusto perché sono sempre di più le evidenze scientifiche che dimostrano i benefici anche in adolescenza di un coinvolgimento precoce dei padri.

Quale può essere in questo senso il contributo delle aziende?

Possono coinvolgere i padri in percorsi che permettano l’apprendimento della cura come parte dell’essere padre e non in contraddizione con la mascolinità; possono sostenerli dando spazio al nuovo bisogno di flessibilità permettendo loro di partecipare al momento dell’attesa e di occuparsi di sé, della mamma, del figlio o figlia sin dalla gestazione; possono informarli sui loro diritti e le loro opportunità (misure di sostegno al reddito, congedi…). Sono tutte azioni che creano un clima di benessere per il dipendente, ma che generano benefici anche per la stessa azienda.

Quali?

Una azienda che investe in questa direzione ha la capacità di attrarre e trattenere talenti, aumentare la produttività, ridurre il turnover (quello di un dipendente vale tre volte il suo costo), abbassare l’assenteismo, migliorare l’immagine pubblica e la credibilità. E non ultimo acquisire la Certificazione della parità di genere, interessante perché consente di ottenere sgravi fiscali e il riconoscimento di un punteggio premiale per accedere ai bandi. Conveniente per l’azienda ma virtuosa per la società, perché lavora sul divario di genere, favorendo la crescita professionale delle donne e contribuendo alla crescita economica del Paese.

In questo percorso di costruzione di una cultura della genitorialità quali sono gli strumenti che concretamente il CSB può mettere a disposizione delle aziende?

Alle aziende possiamo offrire una formazione mirata sul tema genitorialità a seguito di un’analisi ambientale propedeutica, molto utile per i datori di lavoro per avere il polso della loro impresa. Partiamo spesso da un videocorso dedicato ai genitori, con l’obiettivo di accrescere le loro conoscenze sull’importanza dei primissimi anni di vita e su quello che loro possono fare per garantire ai loro figli la migliore partenza nella vita. Seguono approfondimenti con webinar tenuti da specialisti sugli argomenti che suscitano maggiore interesse e che generalmente vengono selezionati insieme. Sono esperienze molto importanti nel contesto odierno, che specialmente nelle grandi città è caratterizzato da isolamento e fragilità ma anche da sovraesposizione a un eccesso di informazioni che finiscono per disorientare.

Abbiamo parlato di benefici per le aziende, ma quali sono quelli per l’intera società e in particolare per i bambini?

Il valore sociale della genitorialità responsiva sta nella possibilità non solo di far nascere più bambini — i dati, infatti, ci dicono che tra i figli desiderati e i figli effettivamente generati c'è una discrepanza in parte determinata dal sistema di supporto alla genitorialità —, ma anche di farli crescere bene in sistemi familiari più attrezzati a contrastare le avversità. Investire sui padri fa bene ai padri e ai figli, ma anche alla vita di coppia e contribuisce tra l’altro alla riduzione della violenza intra familiare.