Famiglia

Genitori. Il diritto di sentirsi padre anche dietro le sbarre

Luciano Moia mercoledì 3 luglio 2024

Maternità e paternità sono condizioni irrevocabili. Una storia d’amore tra un uomo e una donna può finire, il legame tra genitori e figli no. Può essere intenso e profondo, oppure contrastato e difficile. Ma è indissolubile e definitivo, anche nelle situazioni più estreme. Anche quando uno dei genitori sceglie di allontanarsi dalla famiglia per vivere con un nuovo partner. Oppure è costretto a stare lontano perché, per esempio, viene riconosciuto colpevole di un reato che prevede un periodo più o meno lungo di reclusione.

L’esercizio della genitorialità da parte delle persone carcerate, forzatamente limitato, non può mai essere cancellato, almeno in linea di principio. Esistono certamente situazioni di cui lo stile di vita criminale rischia di contagiare in modo così grave la crescita dei figli da rendere indispensabili interventi di protezione e di tutela, compresi nei casi estremi l’allontanamento dei minori dalle famiglie di origine.

Quando però i genitori carcerati manifestano la volontà sincera di continuare, per quanto possibile, a mantenere vivi i rapporti con i figli minori, anche solo attraverso il telefono, l’amministrazione carceraria è tenuta a fare il possibile per non recidere questo legame. L’ha detto la Corte costituzionale in una sentenza di qualche settimana fa, passata un po’ sotto silenzio, che valuta “irragionevole un regime più restrittivo a carico di condannati per reati di criminalità organizzata che abbiano accesso a benefici penitenziari”. I giudici hanno ricordato che chi è condannato per uno dei reati elencati nel primo comma dell’articolo 4-bis, i cosiddetti “reati ostativi” – solitamente previsti per terrorismo internazionale, grave eversione contro l’ordine democratico, mafia – viene escluso dai cosiddetti benefici penitenziari che prevedono anche la possibilità di telefonare ai familiari una volta al giorno o in altre circostanze urgenti valutate caso per caso dalla direzione carceraria.

Ma, al di là di questi aspetti tecnici, ci sembra giusto qui cogliere lo spunto sancito dalla Consulta, secondo cui il ruolo di genitore va salvaguardato, per quanto possibile, anche nei confronti di chi - come nel caso in questione - sta scontando una grave condanna per reati mafiosi. Sempre che abbia dimostrato in modo chiaro la volontà di interrompere i collegamenti con l’organizzazione criminale. Quella persona, ci dice in sostanza la Consulta, ha il diritto-dovere di continuare a sentirsi padre, anche soltanto telefonando ai figli minori, e dev’essere messa nella condizione di trovare un pur minima possibilità per non annullare completamente la sua figura genitoriale.

Difficile, certamente, ma è una fiammella che va tenuta accesa, una speranza collegata anche ai percorsi di recupero e di riabilitazione della persona che certamente ha sbagliato ma che ora, magari grazie anche all’impegno di continuare ad essere minimamente significativo agli occhi dei figli, attende il momento della telefonata per dare corpo alla sua volontà di riscatto. Parlare di genitorialità fragile, precaria, difficile può in questi casi essere quasi un eufemismo, ma è giusto ricordare che esistono anche genitori come questi.

Uomini – e donne - che, malgrado portino nel cuore il peso di errori gravissimi, non smettono di sperare che il futuro dei figli possa essere migliore del loro. È un pensiero che ci sentiamo di rivolgere in questi giorni a tutti i genitori, a tutte le mamme e a tutti i papà che, dopo il terribile omicidio di Pescara, si sentono sotto accusa, inadeguati, a rischio fallimento. Se c’è chi, anche dietro le sbarre di un carcere, non vuole abdicare al suo quasi impossibile ruolo di “padre a distanza”, sentendosi comunque vicino ai figli grazie al telefono, allora possiamo farcela anche noi che ai figli non siamo mai lontani eppure, in troppe situazioni, non riusciamo a far loro sentire l’unica vicinanza che conta, quella del cuore.