Famiglia

Adolescenti. Facciamoli diventare cittadini. Devono sentirsi parte di una comunità

Giovanna Sciacchitano lunedì 17 marzo 2025
Facciamoli diventare cittadini. Devono sentirsi parte di una comunità

Tempi duri per gli adolescenti. I dati ci dicono che le difficoltà emotive e comportamentali emergono sempre più precocemente e che nella fascia di età dai 10 ai 19 anni nel mondo sono 89 milioni i ragazzi e 77 milioni le ragazze adolescenti che soffrono di disturbi mentali tra cui ai primi posti l’ansia e la depressione. In sostanza, uno su sette. Annalisa Quinto, ricercatrice dell’Università di Bologna “Alma Mater Studiorum” presso la Cattedra Unesco in Educazione alla Cittadinanza Globale, ha affrontato questo tema attuale e delicato nel libro “Adolescenti, disagio e educazione alla cittadinanza” (Franco Angeli, accesso aperto al sito: www.series.francoangeli.it). Le abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio la portata del problema.

Perché è più difficile essere adolescenti oggi?

Nel mio libro parlo di disagio dal punto di vista dell’educabilità dell’individuo e declino il disagio secondo una prospettiva psicopedagogica che lo definisce come la difficoltà delle nuove generazioni ad assolvere i “normali” compiti evolutivi che vengono richiesti dal contesto sociale di appartenenza e che servono per costruire la propria identità. Mi riferisco, cioè, al superamento di quegli scalini che permettono di acquisire sicurezza e di costruire il proprio sé. Oggi i ragazzi si trovano ad affrontare con sempre maggiore difficoltà i normali compiti evolutivi legati al proprio percorso di crescita. Alcuni studiosi ci dicono che questo tipo di disagio nasce da una sensazione di fallimento che i ragazzi e le ragazze oggi vivono in seguito all’aver sperimentato in maniera ripetuta che i propri mezzi a disposizione, cioè le proprie abilità, non risultano adeguate per far fronte alla situazione complessa che vivono. Inoltre, non riescono neanche a trovare un equilibrio fra quello che vogliono essere e quello che possono essere, oltreché quello che il mondo esterno richiede loro. Non è più come in passato, quando i solchi erano prestabiliti. Oggi ci sono molteplici direzioni esistenziali, che costituiscono motivo di incertezza e di difficoltà.

La complessità del mondo attuale è il vero problema?

Non solo. Un elemento importante è anche la mancanza di desiderio. I ragazzi e le ragazze hanno difficoltà a progettare la propria vita. Per comprendere meglio il disagio oggi è importante che venga letto non come un contenuto unicamente riconducibile alla sfera individuale e psicologica, ma anche da un punto di vista interdisciplinare e globale.

Che ruolo ha l’educazione?

L’educazione incide sulla società e sulla cultura. E c’è un aspetto che caratterizza questa epoca delle “passioni tristi” e cioè la razionalità neoliberista che ha soggiogato ogni aspetto dell’umano sotto la categoria dell’efficienza economica. I valori di questa epoca sono la competizione, la concorrenza, la performance, l’efficienza, la retorica. Cosa più grave la dimensione aziendalista. Tutto è azienda. Lo Stato è un’impresa, la scuola è un’impresa, l’università è un’impresa. Persino l’individuo è un’impresa. Noi chiediamo ai ragazzi di acquisire conoscenze e competenze da subito per vendersi sul mercato del lavoro. Questo li sottopone a un’ansia pazzesca. In questa epoca fatta di razionalità neoliberista non c’è spazio per i perdenti. La vulnerabilità, l’errore e il fallimento non vengono più compresi come dimensioni di fragilità, ma spesso vengono associati ad altre categorie come la devianza, la marginalità, l’illegalità, la malattia e sono affrontate con logiche unicamente medicalizzanti, assistenzialiste e oggi, aimè, anche punitive.

Perché oggi i giovani fanno fatica a pensarsi cittadini attivi e responsabili?

Questo tema è legato al disagio esistenziale di cui ho parlato, alla difficoltà di costruire il proprio sé. Lo psicopedagogista Bruner ha detto che l’identità è costituita da alcuni aspetti che sono considerati universali. Tra questi l’autoefficacia e l’agency, cioè la capacità di azione, la percezione di un individuo di portare a termine obiettivi in maniera efficace e l’autostima. Questi tre elementi sono fondamentali per la costruzione del proprio sé. Se vengono meno viene meno anche la propensione ad agire.

A che cosa è dovuta la mancanza di speranza?

In una ricerca che ho svolto con 182 ragazzi, fra i 15 e i 18 anni, per indagare la dimensione del futuro, il 100 per cento dei partecipanti ha riferito di averne paura, l’89% di percepire ansia e solo il 44% di loro lo ha collegato alla parola speranza. Quando parlo di speranza mi riferisco alla capacità di trasformare la realtà sociale. Dalle risposte emerge che per i ragazzi e le ragazze il futuro è sinonimo di incertezza e dubbio, ma anche di impotenza e rassegnazione. Circa il 40% dei partecipanti associa al concetto di futuro i rischi legati alla crisi climatica, ambientale, alle guerre, alla cattiva gestione della cosa pubblica da parte delle autorità nei confronti delle quali esprimono sfiducia, rabbia e disaffezione. Lo spettro della “defuturizzazione” causa soprattutto negli individui in formazione un blocco della capacità di progettare la propria esistenza e di pensarsi cittadini attivi nella propria vita e nel mondo, compromettendo il proprio sviluppo.

In che modo possiamo aiutare gli adolescenti?

Intravedo nell’educazione alla cittadinanza una via per fornire alle giovani generazioni strumenti che li rendano capaci di lavorare sulla propria autostima, agency e autoefficacia e quindi riuscire ad avere un ruolo nei contesti micro e macro e agire per modificarli.

Che cosa significa essere cittadini?

Guardo alla cittadinanza in termini di partecipazione, impegno alla vita pubblica, come mezzo di accesso ai diritti e ai doveri, ma anche alla sfera dell’inclusione, della promozione sociale, della partecipazione attiva, del contrasto alle numerose forme di povertà e disagio a partire dalla capacità della cittadinanza stessa di promuovere azioni. Inoltre, la cittadinanza è espressione del progetto di vita di un’intera comunità. Su questo l’Unesco ha lavorato moltissimo negli ultimi quindici anni. Si parte da una concezione ecologica di cittadinanza, cioè dalla consapevolezza di far parte di un unico essere vivente che è la terra.

In che modo deve cambiare l’educazione?

L’educazione svolge un ruolo cruciale. Non può più limitarsi a una mera trasmissione di conoscenze, ma deve essere uno strumento di empowerment, di trasformazione, di potenziamento delle persone. In questa prospettiva, l’educazione dev’essere intesa come un processo che aiuta gli adolescenti a sviluppare consapevolezza critica, capacità di pensiero autonomo e competenze che li rendono capaci di agire nei propri contesti di vita. Invece, siamo costantemente esposti a un rischio e cioè che l’educazione non comprenda e non si adegui ai mutamenti che gli individui e le società stanno vivendo. Continuando a proporre modelli e pratiche ormai anacronistiche o proponendo processi di conoscenza arretrati. In questo senso l’Unesco, in uno dei suoi ultimi report, ha sottolineato la necessità di un nuovo contratto sociale per l’educazione basato sulla cooperazione e sull’interdipendenza. Occorre cioè ripensare il ruolo della scuola e degli ambienti educativi, come luoghi dove i giovani possano sperimentare forme di partecipazione attiva, apprendere attraverso esperienze significative e sviluppare un senso di responsabilità nei confronti della collettività. L’adolescente deve sentirsi parte di una comunità.