Coppia e preghiera. Equipe Notre-Dame, i tre doni dell'Incontro di Torino
“Chiamati a vivere in comunione con Cristo. Chiamati a vivere in comunione con il nostro coniuge. Chiamati a vivere in comunione come famiglia”.
Tre obiettivi modulati da due parole d’ordine: incontro e accoglienza. Ecco il mandato che arriva dal XIII Incontro internazionale delle Equipe Notre-Dame che si conclude oggi a Torino. La Lettera agli equipiers di tutto il mondo è firmata dalla coppia uscente, Clarita ed Edgardo Bernal, e da quella che sarà responsabile internazionale per i prossimi sei anni, Mercedes e Alberto Perez, ed è stata diffusa al termine di una settimana intensissima di riflessioni, ascolto, confronto e preghiera. Nel testo vengono tracciate le linee di un impegno per i prossimi sei anni. Quindi l’apertura a Cristo "sulla strada di Emmaus" perché – si legge nel testo - “riconosciamo Cristo che cammina accanto a noi e, nutriti dalla sua Parola e dalla sua presenza nel Pane e nel Vino, andiamo a testimoniare e a servire”.
Il secondo punto riguarda l’impegno “a vivere in comunione con il nostro coniuge”, secondo l'antropologia dell'amore umano e cristiano. "L'amore è molto più dell'amore" – scrivono i coniugi Bernal e i coniugi Perez - “e ci aiuterà a comprendere il nostro amore che si fa sacramento e vissuto come vocazione”.
Infine, terzo punto, la comunione all’interno della famiglia perché “grazie all'insegnamento della vita delle famiglie della Bibbia e ai loro atteggiamenti, approfondiremo lo spirito di vivere come famiglie accoglienti, non solo interiormente, ma anche esteriormente, riprendendo e rinnovando l'accoglienza, uno dei dieci obblighi originali della Carta”.
La Lettera diffusa stamattina riprende il mandato emerso sei anni fa a Fatima 2018 – l’Incontro internazionale che ha preceduto quello di Torino - quando è stata tracciata una tabella di marcia con il motto "Non abbiate paura, usciamo!". Con questo impegno, l’Equipe Notre-Dame “ha cercato di risvegliare l'innato senso della missione che ci accompagna fin dal nostro battesimo. In questi sei anni, questo senso della missione si è sviluppato in tutti noi, non come una condizione acquisita dalla semplice trasmissione di un'idea, ma come conseguenza dell'incontro stesso con Cristo. Essere strumenti dell'amore misericordioso di Dio, come ci è stato proposto, implica un'intima comunione con il Signore che raggiunge la sua pienezza nell'Eucaristia, come abbiamo sperimentato nell'incontro che stiamo concludendo oggi”.
Tutta l'evangelizzazione – si spiega ancora - si basa su un'esperienza di incontro. “Accogliamo anche le persone che incontriamo – è l’invito contenuto nella Lettera - da quelle più vicine a quelle più lontane, nelle situazioni più diverse. Guardiamo, ascoltiamo, ci raccontiamo, apriamo i nostri cuori per iniziare a parlare, ad agire e a servire. Queste due parole: Incontro e Accoglienza fanno parte del significato che vogliamo dare all'orientamento generale dei prossimi sei anni: Chiamati a vivere in comunione”.
L’impegno a vivere in comunione si inserisce nel processo sinodale che la Chiesa sta vivendo. “La nostra realtà è radicata in essa e vogliamo vivere come parte della stessa storia. Una Chiesa che cerca nella sinodalità un processo di comunione, che noi, come équipe, pratichiamo fin dalla nostra fondazione. Come ci ha ricordato papa Francesco nell'udienza dell'4 maggio scorso, la corresponsabilità tra coniugi e sacerdoti è uno dei preziosi contributi del nostro movimento. La nostra armonia con la Chiesa si rafforza riconoscendo il dono che abbiamo ricevuto, convinti di avere molto da offrire”.
La consegna della Lettera è stata l’atto conclusivo di una giornata intensa, che ha visto tra l’altro la relazione finale proposta da Gabriella Gambino, sottosegretario del Dicastero vaticano laici, famiglia e vita, sul tema “Andiamo con il cuore ardente”. Due gli spunti presentati, il primo sul significato e sul valore della partecipazione eucaristica in chiave nuziale, il secondo sull’importanza dell’impegno missionario degli sposi. “La fame delle famiglie, oggigiorno – ha detto Gabriella Gambino - è davvero una fame spirituale di Cristo, un bisogno di fiducia, di conforto, di capacità di sentirsi amati e accolti con le proprie manchevolezze e fragilità. E i desideri, soprattutto quelli incontrollati, quelli che oggi creano forme devastanti di dipendenza dalle cose del mondo, sono in realtà desiderio di Dio, di quella sazietà che può dare solo il sentirsi amati da Dio. La vostra missione – ha proseguito rivolgendosi direttamente alle coppie dell’Equipe Notre-Dame - sia di accompagnare e accogliere le persone, senza che resti quella pericolosa contrapposizione tra i loro bisogni concreti, a cui cerchiamo di dare rimedio, e il trascendente, cioè Cristo, che rinnova e cambia ogni cosa”.
E questo perché matrimonio e missione sono due realtà in strettissima coesione. “Come battezzati e coniugati – ha proseguito la responsabile del dicastero vaticano - i coniugi sono chiamati a vivere come profeti, re e sacerdoti in quanto sposi. In altre parole, abbiamo ricevuto una ministerialità sponsale che ci rende corresponsabili del Kerygma. Un ministero della vita familiare, che è un compito di noi famiglie ad aiutare altre famiglie a farsi ministeri, Chiese domestiche. Ma la missione dell’annuncio non si realizza da sé. Occorre desiderare di trasmettere il dono grande ricevuto, desiderare di essere testimoni della bellezza dell’amore celebrato, perché nel matrimonio si riflette l’amore di Cristo per la sua Chiesa”.
Ma per raggiungere la consapevolezza del loro ruolo missionario le famiglie vanno aiutate e accompagnate. “Tutte le famiglie hanno una missione, ma nella maggior parte dei casi – ha detto ancora Gabriella Gambino - non lo sanno. Per compierla devono divenire consapevoli e la consapevolezza si raggiunge divenendo famiglie solide. Le nuove generazioni di sposi vanno rese consapevoli di essere ministeri viventi, necessari per edificare la Chiesa. Formare famiglie solide, che riescono ad attingere alla Grazia ricevuta, è indispensabile per aiutare la Chiesa a formare un robusto sacerdozio laicale, consapevole della propria dignità e corresponsabilità ecclesiale”.
Ma, al di là dei contenuti delle varie relazioni – di grande spessore anche quelle del cardinale José Tolentino, di Maria Chiara Lucchetti Bingemer, di Masu e Xosé Manuel Dominguez, di suor Nathalie Becquart e di tutti gli altri intervenuti – cosa porteranno a casa gli 8mila equipiers (coppie e sacerdoti) che hanno vissuto queste intense giornate torinesi? Un clima di fraternità e amicizia. Una lunga serie di volti, sorrisi, strette di mano, abbracci, parole cordiali. E poi il calore della preghiera e l’intensità della partecipazione di tutti coloro che hanno vissuto gli itinerari spirituali. Momenti in cui le due parole chiave della missione delle Equipe, incontro e accoglienza, hanno trovato il loro senso più profondo e hanno offerto l’opportunità di capire ancora meglio che la spiritualità di coppia rimanda alla bellezza di un “noi” aperto alla famiglia, alla comunità, al mondo. È amore, parola, ringraziamento, invocazione, profezia che costruisce, bellezza da custodire, inventare e rinnovare ogni giorno, per preparare il futuro della Chiesa e della società. È rito senza ritualità, liturgia senza paramenti, celebrazione senza altare in cui la vita stessa degli sposi impegnati a incarnare i principi del Vangelo diventa offerta e speranza per tutti.