Affido/1. Una donna single e due gemelle adolescenti. Eppure è una famiglia
A un certo punto della vita, dall’alto di una carriera brillante che ha fagocitato energie e pensieri e ti ha costretto a mettere da parte affetti e relazioni, cominci a chiederti: « Ma per cosa sto vivendo?». È la domanda che una decina d’anni fa si è posta Francesca, dirigente di una multinazionale nell’hinterland milanese, single, ma con il cuore attento alle fragilità sociali. Alle spalle un lungo impegno nel volontariato, in parrocchia e nella Caritas. «Un giorno – racconta – guardavo le immagini dell’ennesimo sbarco della disperazione. C’era un bambino di pochi anni con una maglietta rossa, riverso senza vita sulla spiaggia. Mi sono sentita colpita al cuore e ho capito che il mio impegno per gli altri avrebbe dovuto essere più profondo, più coinvolgente ». La decisione di aprirsi all’affido, da tempo meditata, arriva quando sul web si imbatte in un progetto Aibi. Conosce una famiglia affidataria di quell’associazione e rimane colpita dalla “normalità” di una scelta che non sembra aver nulla di impossibile.
«Ho cercato di prepararmi al meglio – riprende – seguendo corsi di formazione. Una psicologa e un’assistente sociale mi hanno aiutato ad inquadrare al meglio le mie possibilità. Non ho mai avuto una visione negativa della mia vita e non intendevo rinunciare al lavoro. Il tema della sostenibilità, affrontato con grande trasparenza, è stato liberante: l’affido non deve sconvolgere la tua routine». La prima proposta di affido riguarda una bambina di quattro anni da assistere per alcune ore al giorno. Si chiama “affido leggero” ma per Francesca è l’occasione per prendersi cura di tutta la famiglia. I genitori della piccola hanno qualche limite e lei in breve diventa il punto di riferimento per tutta una serie di bisogni che vanno al di là dell’accudimento e dell’educazione della piccola. Ma, a causa dell’intervento di altri membri della famiglia assistita, il rapporto si guasta. Gli assistenti sociali decidono di interromperlo. « Non era trascorso neppure un anno, eppure quella piccola mi era entrata nel cuore. Quando di comune accordo abbiamo deciso che non era più possibile proseguire, ho vissuto come un momento di lutto. Ma non ho avuto neppure il tempo di prendere coscienza di ciò che stavo vivendo perché il mese dopo mi arriva una nuova proposta. E mi lascia senza fiato». Di cosa si tratta? Ci sono due ragazze adolescenti, due gemelline allontanate da casa, che hanno l’urgenza di trovare al più presto una famiglia accogliente. Hanno alle spalle sofferenze importanti e gli assistenti sociali spiegano che c’è la necessità di non dividerle, assegnandole a comunità diverse.
Francesca ci pensa a lungo, teme che il compito sia decisamente superiore alle sue forze. Poi decide di fidarsi dell’associazione che ha puntato su di lei. «Si tratta di un aspetto decisivo. Sarebbe stato difficile, ma non sarei stata sola, avevo accanto a una rete di sostegno che credeva in me. Così mi sono buttata». Se questo racconto fosse un giallo, potremmo svelare subito il finale. Le due gemelline sono diventate maggiorenni, hanno finito le scuole superiori, si sono diplomate e adesso sono iscritte all’università. Il rapporto con Francesca? «Stiamo bene insieme, non vediamo l’ora di ritrovarci a cena per parlare dei fatti della giornata e ci sentiamo pienamente e profondamente famiglia ». In mezzo, naturalmente, tutte le salite e tutte le discese che segnano il rapporto tra genitori e figli adolescenti. Complicato dal fatto che le due ragazzine, costrette a cambiare famiglia, casa, città, amici, abitudini, a metà del loro percorso adolescenziale, sono in qualche modo ripartite da zero. « Da subito ho chiesto loro di costruire un patto insieme, fondato sulla chiarezza e sulla trasparenza. Non ho mai nascosto nulla, ho parlato di tutti i problemi, dosando naturalmente parole e concetti. Insieme ce l’abbiamo fatta».
Le due adolescenti hanno così trovato pareti solide e affetti sinceri per essere aiutate a crescere. Ma, con loro, è cresciuta, anche molto velocemente, una mamma speciale. « Il fatto di essere genitore single – conclude Francesca – mi ha costretta a creare intorno a me, oltre all’associazione e alla rete di famiglie affidatarie, una comunità spontanea di amici che, in alcune circostanze, è stata preziosa». Un “villaggio spontaneo” che ha fatto la differenza.