Famiglia

Genitori. Depressione post-partum. Tocca anche al papà

Laura Badaracchi martedì 2 luglio 2024

Parla di “Papà blues. Depressione perinatale nei babbi: sintomi, cura e prevenzione” il podcast a cura del progetto europeo 4E-Parent, che punta «alla promozione sociale, politica e culturale della genitorialità paritetica in Italia, affinché padri e futuri padri siano coinvolti fin da subito nella cura attiva, reattiva ed empatica dei figli e delle figlie». Ad affrontare questo interessante tema, in genere poco trattato, è Fabio Campanile, giurista e dottore in psicologia, esperto in politiche sulla genitorialità: spiega qual è la sintomatologia della depressione perinatale nei padri, quali sono le cause e cosa si può fare per prevenirla, oltre a dire quale ruolo giocano le differenze e gli stereotipi di genere in questa situazione. «Sulla depressione materna ci sono molti studi, che però non avevano preso in considerazione per nulla i padri. Qualche amica mi ha lanciato forme di rimostranza, esprimendo incredulità di fronte a un’ipotesi di depressione paterna», osserva Campanile, sottolineando che d’altro canto «dal lato paterno c’è scarsa disponibilità di aprirsi e mettersi di fronte a un disagio», dice Campanile, intervistato dal redattore scientifico e podcaster Jacopo Mengarelli.

Il periodo da attenzionare oscilla «fra i tre mesi finali della gravidanza e i primi sei mesi del nascituro», una delicata «fase di cambiamento dalla coniugalità alla genitorialità. Madri e padri affrontano con difficoltà questa transizione». Inoltre nel corso degli anni «la ricerca di un ruolo, da parte del padre, ha subito varie mutazioni: dal breadwinner, colui che portava a casa il pane, al mammo, sostitutivo della figura materna. Gli studiosi hanno dimostrato che questi modelli non sono funzionali, invece lo è un padre che si presenta come base sicura, che partecipa emotivamente alla vita della partner e del figlio».

Ma quali sono le differenze con la depressione materna? Nel caso dei padri emergono soprattutto «senso di colpa, vergogna, ansia, depressione e anche un certo grado di rabbia, aggressività, violenza»; i sintomi vanno dalla «perdita del sonno e della qualità del sonno, oltre a dolori vari, che si associano all’ansia o a problemi comportamentali, alla dipendenza da sostanze o videogiochi o palestra o gioco d’azzardo, fino a dipendenze sessuali».

I fattori di rischio? «Giovane età dei genitori, basso reddito familiare, instabilità finanziaria, background sociale e culturale. La ripartizione dei ruoli nei Paesi a basso reddito risulta essere protettiva, succede il contrario nei Paesi a reddito alto», dove si verifica uno «scarso supporto sociale percepito, anche della rete familiare, amicale e istituzionale».

Come prevenire la depressione perinatale paterna?

«Occorrono interventi di prevenzione precoci e rivolti a tutto il nucleo familiare. Un intervento sulla coppia rende più stabili i due e sarebbe auspicabile già in ostetricia. Il carattere sfuggente degli uomini tende a non far intercettare la domanda». Restano auspicabili anche «incontri fra padri per dare voce al “padre fra i padri” e semplificare la partecipazione». Nel Regno Unito è prassi «unire mindfullness a educazione alla genitorialità», mentre negli Stati Uniti si è riscontrato che la pratica dell’home visiting, ovvero di «far entrare specialisti all’interno delle famiglie, riduce i tassi di depressione o fa registrare miglioramenti», grazie a un esame dell’intero nucleo familiare.

Sarebbero auspicabili «programmi di psicoeducazione: fornire un libretto non ha la stessa efficacia di un gruppo in cui tutti partecipano. In Italia alcuni medici curanti entro i 90 giorni dalla nascita riuscivano a trasmettere un questionario ai genitori, consentendo una presa in carico e una vicinanza. Ma i padri non hanno poi frequentato la terapia psicologica, per paura dello stigma sociale».