Il dibattito. Coppie "regolari" e coppie "irregolari". C'è un divario etico?
Aprire le porte, anzi, spalancarle alle persone separate, divorziate, risposate, conviventi? Ma cosa ha detto papa Francesco alla comunità accademica del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per gli studi su matrimonio e famiglia? È andato ancora una volta al di là di quanto lui stesso aveva scritto in Amoris Laetitia? Da qualche giorno il dibattito sui social è acceso e quindi è il caso di fare un po’ di chiarezza su queste parole certamente spiazzanti, soprattutto per il tono appassionato e perentorio. Il concetto espresso dal Papa (vedi qui l’articolo di Arnaldo Casali) è chiaro: si può promuovere la famiglia fondata sul “matrimonio per sempre” senza escludere nessuno e, in particolare, senza escludere coppie e famiglie che invece sembrano più scombinate. Dove l’aggettivo “scombinate” – è una nostra sintesi, il Papa non ha detto così - va inteso senza alcun giudizio di merito, cioè senza stabilire classifiche etiche. Le coppie regolari devono quindi guardarsi, e queste sono parole di Francesco, da quella particolare forma di fariseismo che può indurle a considerarsi migliori, più avanti nel cammino di fede, più meritevoli di attenzioni pastorali da parte della Chiesa. Chi pensa di avere acquisito particolari vantaggi solo per la propria capacità di tenuta, sta sbagliando.
Vediamo di capire bene. Quella che potremmo chiamare “qualità cristiana” di una coppia non si misura soltanto dalla capacità di resistenza nel tempo. Tirare avanti insieme è certamente buona cosa, soprattutto in questi anni di fluidità relazionale, con picchi di conflittualità mai toccati prima. Ma quel tempo insieme non dev’essere riempito solo di minuti, ma anche di qualche virtù, cioè di bene pensato e attuato, desiderato ed elargito. Facciamo qualche esempio. Sappiamo che ci sono anche tante mogli e tanti mariti che, pur conducendo una vita tutt’altro che segnata dai principi evangelici, decidono di rimanere formalmente insieme.
Perché lo fanno? Per comodità? Per convenienza? Per non affrontare scomodi percorsi giudiziari? Le ragioni possono essere tante e qui è inutile indagarle. Sappiamo che succede. E sappiamo anche che dietro quella compattezza apparente si aprono e, talvolta, si tollerano scelte di reciproca infedeltà, magari c’è indifferenza e incuria in ambito educativo, oppure c’è un attaccamento smodato al denaro e al lusso, uno sguardo di disprezzo verso le persone più sfortunate, un’abitudine radicata a sfruttare l’ambiente in modo colpevole e tanto altro ancora.
Al contrario, una coppia di persone in nuova unione, oppure convivente, può incarnare profondamente e responsabilmente valori come la testimonianza nella fede agli occhi dei figli, la costanza nella preghiera, l’attenzione alla sfera spirituale, la capacità di sacrificio, la solidarietà, l’impegno educativo, il rispetto per l’ambiente, l’aiuto ai più deboli, la tensione verso la pace e la giustizia. E se questa coerenza etica non si abbina al matrimonio può darsi che esistano impedimenti canonici – nel caso di divorziati in nuova unione a cui è preclusa la via della nullità – oppure altre buone e comprensibili ragioni che sarebbe troppo lungo - e anche un po’ ozioso – elencare.
Insomma, ci dice papa Francesco, la patente di coppia “regolare” non attesta automaticamente l’esemplarità della vita cristiana. E, al contrario la condizione di coppia “irregolare” – qui le virgolette andrebbero raddoppiate perché, come lo stesso Papa più volte ha chiarito, nessuno può essere definito irregolare agli occhi di Dio – non deve aprire la strada a un giudizio obbligatoriamente negativo.
Ma allora – potrebbe essere la facile obiezione – il sacramento del matrimonio, con la grazia santificante che ne deriva, non conta nulla nella vita di due sposi? Certo, ma quella grazia non produce effetti benefici “automatici” come fosse una pozione magica. La coppia deve mettersi nella condizione spirituale di accogliere concretamente il dono del sacramento e deve scegliere uno stile di vita coerente con il Vangelo. Altrimenti il tesoro della grazia finisce per essere soffocato da una quotidianità arida e distratta, segnata da obiettivi che contraddicono il comandamento dell’amore reciproco e gratuito. Certo, la Chiesa non si stanca di annunciare la buona notizia della famiglia fondata sul matrimonio e di proporre una pastorale del vincolo – espressione un po’ triste che andrebbe rinnovata - come percorso ideale, anzi come punto d’approdo di un cammino di coppia. Non solo, cerca con impegno e con quella fantasia della carità che dovrebbe essere il connotato fondamentale di ogni azione pastorale, di accompagnare tutte le coppie che lo desiderano secondo le diverse situazioni e i diversi livelli di crescita nella fede.
Ma se, come dice il Papa, l’obiettivo è l’integrazione nella comunità cristiana di tutte le persone e di tutte le famiglie che desiderano farne parte attiva, nessuno dev’esserne escluso e tutti e tutte – possiamo pensare anche alle coppie di persone lgbt - dovrebbero trovare braccia aperte, sorrisi accoglienti e spazi adeguati nella comunità. “Dovrebbero” – rinnoviamo le molte virgolette – perché come sappiamo per alcune comunità e per alcune uomini e donne che ne portano la responsabilità, il cammino verso l’accoglienza senza se e senza ma, appare più faticoso che altrove. Ma confidiamo che prima o poi le parole di papa Francesco possano fare breccia ovunque.