Educazione. Cari genitori, non voglio essere la vostra fotocopia
Quarant’anni di ricerca, di studio e di esperienza dalla parte dei genitori, a rimetterli in quadro in un compito tanto entusiasmante quanto complicato qual è l’educazione dei figli. Quarant’anni ad aprire gli orizzonti di mamme e papà sui loro compiti, a incoraggiarli a fare le mosse giuste, tenere le giuste distanze, mettere paletti, costruire regole chiare e buone abitudini, superare la confusione con l’organizzazione, evitare le urlate, le punizioni e gli spiegoni. Il sapere del professionista, la determinazione dell’educatore, il piglio dell’appassionato, Daniele Novara ha un mantra che lo accompagna da sempre: sostenere gli adulti richiamandoli al senso della responsabilità educativa, a un progetto condiviso che vada oltre le buone intenzioni, l’improvvisazione e il semplice accudimento.
Ora però, dopo aver speso miliardi di parole sulla manutenzione delle faticose relazioni tra i piccoli tiranni e i fragili genitori, eccolo aprire un capitolo laterale di indagine che ha a che fare con l’educazione che abbiamo ricevuto durante l’infanzia e gli adulti che siamo diventati. L’impronta che spesso non ci ha lasciato spazi di manovra nel crescere e vivere la vita che avremmo voluto. È perentorio, quasi un giuramento, il titolo del suo ultimo libro, appena approdato in libreria, Non sarò la tua copia (edizioni Bur; pagine 222) e un sottotitolo confortante Liberarsi dai pesi dell’infanzia per costruire la vita che desideriamo, un manuale di saggista narrativa (come lo definisce lui) che prosegue il percorso sulle tracce del nostro passato dei tasti dolenti e la rielaborazione delle ferite infantili.
«È importante – spiega Daniele Novara – dopo l’adolescenza, nell’età adulta confrontarsi con l’educazione ricevuta resistendo alla tentazione di edulcorarla. L’infanzia non è un territorio di libertà e di spontaneità, i figli sono dentro la bolla educativa dei genitori, come è naturale che sia. Le scelte dei genitori e le loro aspettative ci condizionano e ce le portiamo appresso tutta la vita, i margini di manovra dobbiamo cercarli noi. Il fatto è che spesso la mancanza di memoria e di ricordi infantili ci portano a edulcorare, nascondere e rimuove dietro il luogo comune dell’infanzia meravigliosa quello che chiamo il copione educativo. Un atteggiamento ingenuo e ingiusto verso sé stessi. Cosa diversa dall’educazione che coinvolge oltre ai genitori anche la scuola e gli amici, il copione è una consegna, una specie di prescrizione che ti sta addosso come una seconda pelle e da cui è difficile sganciarsi. Ma bisogna farlo».
Significa che i genitori consegnano involontariamente ai figli non solo un patrimonio genetico e psicologico ma anche uno stile implicito in una serie di scelte quotidiane spontanee che li definisce e modella la loro vita concretamente, come in uno stampo. È quello che Donald Winnicott definiva il tragico “falso sé”, l’adesione a quell’abito confezionato per i figli e indossato nell’infanzia per il desiderio di compiacere i genitori. Crescere però significa cercare il “vero sé”, la propria autenticità attraverso la propria libertà di scelta.
La storia di ieri e dei nostri giorni è piena di esistenze plasmate più o meno violentemente sui desideri e le aspirazioni di padri e madri. Accanto alle testimonianze personali di gente comune raccolte professionalmente, Novara racconta i casi dolorosi ed eclatanti di Mozart e di Picasso, del tennista Andre Agassi costretto dal padre a intraprendere una strada che lui non voleva, anzi odiava, del padre padrone di Gavino Ledda. E cita le lettere, mai consegnate, che Kafka e Simenon hanno scritto al padre e alla madre, la denuncia di una educazione autoritaria e pesantemente svilente l’una, fredda, distaccata e assente l’altra. Entrambe causa di grandi sofferenze. E commenta le affermazioni recenti dello stesso Jannik Sinner, talento precoce e grandissimo campione di tennis che dichiara in proposito la propria libertà di scelta. Forse tralasciando il racconto di quanta approvazione e consenso abbia goduto dai genitori per affrontare questo sport intrapreso da bambino. «Nessuno da bambino ha libertà di scelta e ammetterlo significa anche riconoscere che non tutto passa attraverso insegnamenti palesi, diretti e decisi».
Anche Daniele Novara non esita a raccontare il lavoro personale intrapreso per mettere a fuoco con sguardo lucido e fare i conti con il proprio copione educativo di figlio unico in una famiglia di origine contadina dell’Italia primi anni Sessanta abbarbicata alla convinzione che i figli dovessero ascoltare, obbedire ed essere utili alle necessità familiari.
«Si tratta di una ricerca che ho impostato, umanamente e scientificamente, nella seconda parte della mia vita - spiega - quando ho capito che dovevo andare oltre la ribellione alle istanze dei miei genitori. Sganciarmi dalla visione della vita dei miei in cui ero incastrato. Percepivo che tante parti di me non erano chiare né sotto controllo. Sentivo il bisogno di aprire un confronto sull’educazione ricevuta, di riconoscere le zone d’ombra di cui non ero consapevole». Sganciarsi significa emanciparsi, attraverso un percorso che normalmente, se non ci sono stati genitori particolarmente patologici, si può intraprendere da soli. Tanto più quando da figli si diventa a propria volta genitori e si deve chiudere la catena. È un momento straordinario per occuparsi al massimo della propria crescita personale per non proiettare sui figli i nostri conti in sospeso. E creare nuove vittime.
Novara fornisce tanti assist, le mosse giuste utili a far luce sulle impronte ricevute e trovare la propria svolta. «Non si tratta di ribellarsi tout court, di cercare adesioni o risarcimenti ma di riconoscere il proprio copione e fare chiarezza con coraggio per poter andare oltre. Oltre la rielaborazione passiva del tipo “Con me ha funzionato, faccio uguale» e oltre quella speculare, «con i miei figli faccio l’opposto di quello che ho subito dai miei». Io credo nella rielaborazione consapevole, «Riconosco come mi hanno cresciuto e cambio ciò in cui non mi ritrovo». Danilo Dolci ripeterebbe la propria convinzione che «ciascuno cresce solo se sognato». A patto che i sogni non siano l’implacabile e soffocante realizzazione di quelli mancati dei propri genitori.
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