C’è una parola che fa paura a tutti i genitori, si chiama bullismo, in tutte le sue forme, reale e virtuale. Fa paura perché non è mai facile capire come e se i tuoi figli sono tra le vittime, oppure sono finiti dall’altra parte, nelle bande dei prevaricatori. Fa paura perché può capitare che per tanto tempo, anche per mesi, non si riescano a cogliere segnali di allarme. E gli esperti sottolineano che tra i rischi peggiori c’è quello della rassegnazione che nasce dalla sedimentazione delle relazioni tossiche. Un ragazzino che si convince di essere la vittima predestinata del branco e per lungo tempo non riesce a chiedere aiuto – capita più frequentemente di quanto s’immagini – può far registrare un’involuzione nei processi di crescita psico-cognitiva, può manifestare disturbi e malessere. Vive male, ma cerca di nasconderlo per non allarmare i genitori. Come vive male il bullo “costretto” in qualche modo a perseverare nel suo atteggiamento persecutorio perché è consapevole che qualsiasi cedimento gli farebbe perdere la considerazione della banda e i piccoli privilegi conquistati con le minacce, l’arroganza, la violenza. Insomma, da qualsiasi prospettiva lo si guardi, quello del bullismo è un fenomeno che miete vittime e semina sofferenze negli spazi sociali vissuti dai nostri figli – scuola, oratorio, società sportiva - senza che troppo spesso il mondo adulto riesca ad intervenire tempestivamente. I numeri sono inquietanti. Gli 11enni vittime di bullismo sono il 18,9% dei ragazzi e il 19,8 delle ragazze; tra i 13enni le vittime sono 14,6% dei maschi e il 17,3 delle femmine, mentre tra gli adolescenti (15enni) si parla rispettivamente del 9,9 (ragazzi) e del 9,2 (ragazze). Complessivamente, nel 2023, i casi di bullismo denunciati in Italia son stati 32.600, ma si tratta soltanto degli episodi venuti alla luce. Il sommerso, secondo gli esperti, sarebbe almeno di due terzi superiore, anche se poi non è mai facile valutare intensità e gravità dei diversi episodi.Certo,
la scorsa settimana è entrata in vigore la legge contro il bullismo licenziata a maggio dal Parlamento che prevede mezzi di contrasto al fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Si tratta di una norma con ombre e luci. Da una parte fa riferimento a processi di intervento “rieducativo”, rispolverando un lessico che evoca scenari cupi e repressivi, dall’altro prevede che siano i genitori a risarcire i danni causati dagli figli bulli, e che da parte delle scuole ci sia un impegno “a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare l'emersione di episodi di bullismo e cyberbullismo” con opportune strategie di prevenzione.Come dare concretezza a questi impegni? Decine di istituti, tra cui numerosi quelli paritari aderenti alla Fidae, hanno individuato
nella certificazione antibullismo, rilasciata da organismi accreditati, una strada possibile per sottolineare la propria volontà di affrontare il fenomeno in modo serio e tempestivo. Ma può servire davvero una certificazione per prevenire e combattere il bullismo? L’avvocato Emanuele Montemarano, presidente dell’organismo di vigilanza di Accredia, l’ente
nazionale di accreditamento che, secondo le norme europee e nazionali, garantisce la competenza di chi certifica la conformità di prodotti o servizi alle norme tecniche, spiega che si tratta di un sistema volontario per contrastare il fenomeno e dare più credibilità ai servizi offerti, sia per la serietà delle procedure – occorre rispettare una serie di standard rigorosi – sia per avviare una sensibilizzazione più ampia e strutturata su un tema di cui tanto si parla ma nei cui confronti si fa troppo spesso fatica a individuare modalità efficace di intervento.La certificazione non è un’opportunità solo per il mondo scolastico, ma per tutti quegli ambiti comunitari – oratori, centri di aggregazione, società sportive – in cui bambini e ragazzi trascorrono molte ore. Come ottenerla? Ecco i principali punti da rispettare:
- Il primo punto riguarda la formazione del personale. Occorre conoscere in modo attento la normativa civile e penale, dimostrare di saper intervenire sulla gestione dei casi critici, avere nozioni sulla complessità del fenomeno.
- Il secondo punto riguarda l’organizzazione della vigilanza. Chi controlla quello che succede negli ambienti frequentati dai ragazzi, soprattutto nei momenti in cui non sono presenti educatori e insegnanti? Le statistiche, per quanto riguarda le scuole, dicono che il 90% dei casi di bullismo avviene fuori dalle classi. L’organizzazione della vigilanza prevede un piano scritto in cui si spiega come viene assicurata la presenza di un adulto nei diversi ambienti e nelle diverse fasce orarie.
- Il terzo punto riguarda l’obbligo di indicare un referente antibullismo e di formare una commissione antibullismo responsabili di coordinare tutte le attività. Il referente è una figura interna – per quanto riguarda le scuole si tratta spesso di un insegnante - che ogni struttura ha la possibilità di definire.
- Il quarto punto riguarda la procedura per gestire i vari casi e quelle per segnalarli in modo opportuno. Il primo passaggio è quello di rivolgersi al referente garantendo una certa indipendenza rispetto al referente.
- Il quinto punto riguarda i sistemi di monitoraggio. Il referente infatti, oltre a gestire i casi, deve avviare una serie di buone prassi per prevenirli. Può per esempio promuovere la distribuzione di un questionario, proporre una serie di interviste, o altro ancora.
- Il sesto punto parla dell’aggiornamento e della sensibilizzazione sul bullismo che deve riguardare tutte le componenti della scuola o della comunità
(ragazzi, insegnanti, educatori, personale interno). È un punto importantissimo perché più se ne parla, più si amplia la conoscenza e la prevenzione del fenomeno
Gli altri punti riguardano in modo più specifico le procedure per ottenere e poi conservare nel tempo la certificazione antibullismo. Si tratta di un meccanismo rigoroso – osserva ancora Montemarano – perché il fenomeno è complesso e va affrontato con gli strumenti e le risorse adeguate con l’obiettivo di sviluppare una nuova cultura della prevenzione e del contrasto di ogni forma di bullismo, anche digitale. D’altra parte, la certificazione antibullismo ha la funzione di assicurare ai minori ed alle loro famiglie che le strutture certificate effettivamente forniscano garanzie adeguate di attenzione alle dinamiche connesse al bullismo, sicché il meccanismo di certificazione dev’essere necessariamente serio e selettivo.“Ci siamo mossi anche
nella logica della giustizia riparativa di cui parla l’enciclica
Fratelli tutti – mette in luce ancora il responsabile di Accredia - con l’obiettivo di favorire la riappacificazione tra bulli e vittime.
Va anche detto che gli interventi anti-bullismo vanno inquadrati nel più ampio sistema finalizzato alla diffusione di una cultura della tutela dei minori, con particolare attenzione al tema degli abusi in tutte le diverse forme, anche in conformità con le Linee Guida per le scuole cattoliche adottate dall’Ufficio Scuola della Conferenza Episcopale Italiana, che fanno espressamente riferimento, come buona prassi di tutela dei minori, proprio alla certificazione antibullismo promossa dalla Fidae”.