Famiglia

Musica trap 1. Sessismo e violenza, che sfida per l'educazione all'affettività

Benedetta Verrini domenica 20 ottobre 2024

Nell’ultimo dossier di Terres des hommes si torna a lanciare l’allarme su questi testi, ma don Domenico Cambareri, cappellano del carcere minorile di Bologna, propone una «lettura alternativa» Le immagini sono molto comuni: li sbirciamo in solitudine, con gli auricolari o cuffie voluminose, stesi sul divano o sul letto della loro camera. Sulla metro, sull’autobus con lo sguardo incollato allo schermo. Oppure al parchetto, questa volta in gruppo, con una mini cassa per condividere un brano al massimo volume. Cosa passa in quegli orecchi adolescenti? Tendenzialmente, musica trap.

Spesso noi non la capiamo: gira e rigira, ci sembra sempre lo stesso pezzo con la stessa intonazione, parole veloci e smozzicate che citano marchi e auto famose, mentre cogliamo trame dolorose di accoltellamenti, cash accumulati e “tipe”. Eppure, se vogliamo avere l’occasione di intercettarli, i nostri ragazzi, e di poter parlare con loro di sentimenti, di sogni e paure, la trap dovrebbe interessarci. Prima di tutto, perché quest’anno nel Dossier InDifesa, che Terre des Hommes realizza (incrociando molti database, tra cui quello dei reati sui minori della Direzione Centrale della Polizia Criminale), c’è un approfondimento intitolato La violenza nei testi delle canzoni trap. Il fatto che si sollevi la questione è un aspetto non futile, nella musica trap c’è una “mitologia” precisa: un maschio alfa che opera il suo riscatto sociale (spesso) attraverso la violenza, i soldi come parametro assoluto di successo, le donne oggettificate.

La questione della violenza di genere, nei testi di molte di queste canzoni è un fatto conclamato: basta cercare qualche testo a caso, anche dei più famosi big del settore. L’epiteto più raffinato – anche solo perché è in inglese – è bitch, epiteto volgare che rimanda a quello considerato il mestiere più antico del mondo. Poi c’è un profluvio di «lo fai perché ti pago » , « ti faccio male » , «tanto ti piace», «se vai con un altro sei morta». Solo un fenomeno culturale? « Da un lato, potremmo vederla così: è un fenomeno culturale che tiene dentro gli estremi. Ci sono testi e video triviali, decisamente nei canoni della pornografia, e altri brani che invece sono pagine di vita e sentimenti, preziosi nella loro autenticità», dice don Domenico Cambareri, cappellano del carcere minorile di Bologna, insegnante, che recentemente ha scritto un libro proprio sui giovani più difficili e i loro progetti spezzati , Ti sogno fuori, edizioni San Paolo (vedi box in questa pagina).

Proprio alcuni testi della musica trap, insieme ai classici della letteratura, da Seneca a Salinger, sono gli strumenti con cui don Domenico dialoga e provoca quotidianamente i suoi ragazzi. « Rivendicando la sospensione di incredulità, ovvero consentendoci di pensare che la gran parte dei giovani ascolta questa musica ben consapevole che non rappresenta la realtà, possiamo dire però che i testi più violenti hanno sicuramente un impatto sui ragazzi più fragili e sprovvisti di esperienze di bellezza. Sono quei ragazzi senza pedagogia affettiva, che non hanno sperimentato l’amore e la cura per un’altra persona, perché a loro volta non sono mai stati curati», spiega. « Ecco, nel deserto affettivo ed educativo, possiamo dire, senza fare i bigotti, che quei testi possono essere presi acriticamente, e apprezzati per l’esibizione della forza, per il gesto in sé, per la capacità di sopraffare ed essere temuti ». Eppure, credere al mito del bullo-gangster non è un “problema” dei soli ragazzi deprivati ed emarginati. C’è un universo intero di «adolescenti normalissimi che osservano quel mondo dallo spioncino».

Allora, viene da chiedersi, che idea si fanno delle relazioni amorose? Quali miti coltivano, nel loro intimo? «Queste sono domande fondamentali, per noi adulti, che abbiamo qui forse l’estrema occasione di mostrarci pronti a dialogare, a proporre una riflessione critica. In qualche modo, i giovani godono della nostra fuga, del nostro ritrarci di fronte a qualcosa di eccessivamente provocatorio che non riusciamo a comprendere. Eppure, nel momento in cui ci mostriamo capaci di restare senza essere conniventi, ma chiedendo una spiegazione, mostrandoci curiosi su un testo, e poi arrivando a proporre una lettura diversa sulla vita e sulle relazioni, questo diventa rivoluzionario ». Quindi, forse, qualche brano varrebbe la pena di ascoltarlo, magari chiedendo un consiglio su cosa cominciare. «Sì, non dobbiamo avere paura. Perché poi, avendo cognizione di causa, diventando in qualche modo credibili, possiamo cominciare da quel punto per parlare di sentimenti: ma cosa vuol dire essere innamorati? Cosa significa davvero rispettare una ragazza e ascoltarla? Quanto fa stare male la gelosia? Come capire che l’amore non è possesso e come superare l’abbandono? Sul terreno comune di un testo, anche provocatorio, anche ripugnante o inaccettabile, si può partire per fare educazione affettiva, quella che davvero manca ai nostri giovani».

Viviamo un mondo di grande complessità: mentre ci sono adolescenti che si trovano dentro una polifonia di possibilità identitarie, e si interrogano sulla loro identità di genere, ce ne sono altri che vivono un tribalismo di ritorno, in cui la maschilità tossica è un mito. Ma è proprio cosi» « E lo è, sento la necessità di dirlo, anche per alcune ragazze che stanno molto bene dentro l’immagine della “donna” del bullo, amano l’idea di essere “pericolose” e “protette” da lui, adorano essere ammirate per la loro bellezza e rispettate da tutti, salvo poi non riuscire più ad avere uno spazio di autonomia » . De-costruire queste narrative - potremmo dire - è una nostra responsabilità di adulti, se vogliamo fare un discorso serio di prevenzione della violenza di genere. Purtroppo, oltre alla violenza tra pari, che è prevalentemente di natura sessuale (tra i giovani autori di violenza sessuale, il 12% è minorenne, e lo è il 27% dei giovani autori di violenza sessuale di gruppo); il reato più in crescita quest’anno è quello dei maltrattamenti in famiglia (dal Dossier InDifesa, ci sono state 2.843 vittime, tutte bambine e ragazze minorenni, con un raddoppio nell’ultimo decennio, pari al +102%).

« I giovani si strutturano per imitazione», commenta don Cambareri. « In famiglie in cui saltano le regole di rispetto tra i generi e mancano gesti di cura tra i vari componenti, è fondamentale che le altre agenzie educative e la Chiesa riescano a intercettarli, e a proporsi con forme di educazione sul campo. Sono convinto che la riflessione educativa faccia bene prima di tutto a noi adulti, che siamo a volte causa dei problemi dei ragazzi, ma che - conclude l’esperto - abbiamo anche gli strumenti per cambiare»