Minori fragili. Affido, un ddl per promuoverlo e quei dubbi da chiarire
Nessuna schedature delle famiglie affidatarie. Nessuna volontà di escludere le associazioni che fanno parte dell’Osservatorio infanzia e adolescenza. Il ddl sulla “tutela dei minori in affidamento”, presentato ieri sera in Consiglio dei ministri Eugenia Roccella (Famiglia) e Carlo Nordio (Giustizia), ha come unica finalità - come è stato spiegato ieri al termine della riunione - quella di rendere stabile l’afflusso dei dati riguardanti i minori fuori famiglia. Sempre in forma anonima. E, sulla base di quei numeri, impostare politiche adeguate «per il rilancio dell’affido, perché ci siano famiglie che aiutino altre famiglie», ha spiegato poi Roccella. Per questo obiettivo nasceranno due registri e un Osservatorio. Il Registro nazionale degli istituti di assistenza pubblici e privati, delle comunità di tipo familiare e delle famiglie affidatarie, presso il Dipartimento per le politiche della famiglia, con l’indicazione provincia per provincia del numero dei minori collocati in ogni istituto di assistenza pubblico o privato ovvero in ogni comunità di tipo familiare e il numero delle famiglie, delle comunità e degli istituti che sono disponibili all’affidamento. E un Registro dei minori collocati in comunità di tipo familiare o privati o presso famiglie affidatarie, presso ogni tribunale per i minorenni e tribunale ordinario.
Come mai questi dati non ci sono? Perché il sistema di raccolta delle informazioni provenienti dagli enti locali e dalle procure minorili non è mai decollato su base nazionale. Gli ultimi dati disponibili sui bambini fuori famiglia sono del 2020, mentre poi esistono stime più o meno accurate con dati disaggregati su quanti sono quelli in affido familiari e quanti nelle strutture d’accoglienza. Importante invece avere un quadro statistico il più preciso possibile. Sia perché è impossibile intervenire senza conoscere i termini esatti della situazione, sia perché fin dal 2019 l’Onu ha chiesto all’Italia di avere dati certi sui bambini fuori famiglia.
Chiarita anche la presunta stranezza - sottolineata dalle associazioni - di ricorrere ancora al termine “istituti”, realtà cancellata fin dal 2001. Ieri è stato spiegato che la legge che regola l’affido nel nostro Paese è sempre quella del 1983 dove appunto si parla di “istituti” ed è stato quindi obbligatorio far riferimento alla stessa espressione, pur avendo ben chiaro quanto capitato nel frattempo. D'altra parte non si può neppure dare torto alle associazioni che hanno colto una contraddizione tra le prospettive aperte dalle nuove Linee guida ispirate alla valorizzazione dell’esperienza delle famiglie affidatarie – le “famiglie in più” che affiancano e sostengono un nucleo familiare in difficoltà – e i toni del ddl segnati, almeno all’apparenza, solo da obiettivi di controllo e di verifica. La ministra Eugenia Roccella, come detto, ha chiarito l’equivoco spiegando che l’unico obiettivo del disegno di legge è avviare in modo sistematico quella raccolta dati sui minori fuori famiglia che in Italia non è mai stata realizzata in modo costante e tempestivo. Difficile programmare iniziative efficaci con un quadro della realtà così sfasato. Insomma, un intento largamente condivisibile. Forse parlare di “tutela dei bambini in affido”, come si legge nel titolo del ddl, è apparsa quasi un’accusa o almeno una mancanza di fiducia. Quasi che i bambini non fossero al sicuro nelle famiglie che hanno aperto loro le braccia e avessero bisogno di essere tutelati da nuove disposizioni di legge. Ma il governo ci assicura che non è così. Non abbiamo motivi per dubitare. Avremo il tempo di verificare e di capire. Come ci sarà modo di approfondire gli altri aspetti di questo progetto di legge che hanno suscitato qualche dubbio. Il cammino di un testo di legge in Italia è lungo. Dovrà passare dai due rami del Parlamento. Se ne discuterà per almeno un anno e ci sarà modo - se necessario - di apportare ritocchi migliorativi. Noi non molleremo la presa.