Minori. «Affido, basta con la caccia alle streghe»
Non facciamo sentire sotto accusa le famiglie affidatarie. Dopo il caso Bibbiano e dopo il clima di sospetto scatenatosi per altri casi simili, è scattata la corsa per modificare la legge (l’ultima riforma risale alla 173 del 2015, ma l’impianto rimane quello della 184 del 1983). Non è stato fatto nulla invece per incoraggiare all’affido e soprattutto per evitare che le famiglie affidatarie si sentano sotto accusa e finiscano per essere definitive 'quelle che portano via i bambini'. Un rischio concreto a parere di Carla Garlatti, responsabile dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, che invita alla prudenza.
Non crede che una nuova legge sull’affido, se si arrivasse a una riforma, dovrebbe cercare anche di incoraggiare le famiglie ad aprirsi a questa forma di accoglienza?
Secondo la legge attuale sono i servizi sociali che scelgono le famiglie a cui affidare i minori. A me è capitato, come giudice minorile, di firmare provvedimenti in cui scrivevo che, come destinazione del minore, ci doveva essere in via prioritaria una famiglia e, solo in seconda battuta, una struttura d’accoglienza. Ma poi questo non succedeva e le associazioni delle famiglie affidatarie si lamentavano per non essere state coinvolte. Questo per dire che il meccanismo va certamente rivisto e che il ruolo della famiglia va rilanciato. Oggi ci sono coppie affidatarie che hanno paura delle famiglie d’origine, che si sentono quasi sotto accusa. Non va bene. C’è una cultura dell’affido che va ricostruita.
Obiettivo dei vari provvedimenti depositati in Parlamento sembra quello di limitare il potere dei magistrati, ridare spazio alle famiglie, cancellare gli articoli più controversi, come l’articolo 403 del codice penale che permette l’allontanamento d’urgenza di un bambino da casa. È la strada giusta?
Anche qui ci vuole prudenza. Le nostre norme sull’affido sono sostanzialmente valide ma la legge non dev’essere snaturata. La legge del 2015 ha introdotto la continuità degli affetti. La coppia affidataria, in certe condizioni, può quindi adottare il bambino accolto. Evidentemente non avrà alcun interesse ad adoperarsi per il ritorno del bambino nella famiglia di origine. Quindi, un obiettivo condivisibile rischia di snaturare la legge che non è quello di 'togliere' ma di 'aggiungere' una famiglia solida accanto a quella che non ce la fa.
Nel suo intervento alla Commissione giustizia della Camera, nell’ambito dell’audizione sulla riforma degli affidi, lei ha spiegato che il tanto criticato articolo 403 del codice civile che permette l’allontanamento coatto dei minori dalla propria famiglia, non va abrogato. Eppure non pochi casi, in questi ultimi anni, hanno dimostrato che questo articolo può avere un’applicazione arbitraria o comunque problematica. Perché è convinta che sia importante preservarlo?
Premessa obbligatoria: il bambino ha diritto di crescere nella sua fami- glia di origine. Ma, come sappiamo, ci sono anche famiglie disfunzionali perché la realtà è difficile da ingabbiare, e quindi può capitare che un bambino vada allontanato d’urgenza dalla sua famiglia. Perché un articolo come il 403 è importante? Perché in alcune situazioni le procedure ordinarie per mettere in sicurezza un minore rischiano di avere tempi tecnici troppo lunghi. Un bambino trovato per strada da solo a chiedere la carità. Un caso di violenza familiare scoperto in flagranza di reato. Gli esempi possono essere davvero tanti. Senza uno strumento giuridico che ci permette di intervenire all’istante, proprio per tutelare al meglio il bambino, come facciamo?
Non crede che, contestualmente all’articolo 403, andrebbe approvata una modifica del diritto minorile, introducendo tempi brevissimi magari 48 ore come nel penale - per la convalida dell’allontanamento? Oggi, come è noto, tra la comunicazione all’autorità giudiziaria e la convalida possono passare anche settimane. Nel frattempo chi verifica l’opportunità di un intervento che può risultare straziante per il piccolo e per la sua famiglia?
Certo, serve una regolamentazione. Possiamo anche pensare che il procuratore minorile sia chiamato a decidere entro 48 ore se il provvedimento sia stato adeguato oppure no. Oggi non ci sono tempi definiti, ogni tribunale ha introdotto una prassi autonoma. E certamente non va bene. Ma tempi certi dovrebbero essere garantiti quando il pm passa la comunicazione al Tribunale dei minorenni. Diciamo che in 30 giorni al massimo - è solo un’ipotesi - si dovrebbe arrivare alla decisione se avviare o meno un’indagine. E, allo stesso tempo, valutare se convalidare il provvedimento allo stato degli atti o dopo aver sentito le parti.
Quando lei invoca una riforma dell’affido con soluzioni caso per caso, senza automatismi e rigidità, a quale aspetto della legge si riferisce? Non si rischia in questo modo di attribuire al magistrato una discrezionalità che talvolta potrebbe non essere utilizzata in modo equilibrato?
Discrezionalità sì, ma sempre dentro i confini della legge e sempre nell’interesse del minore. In alcune delle proposte di riforma che ho esaminato, ho visto che si prevede un automatismo per la decadenza del provvedimento. E dopo? Se la famiglia di origine non fosse ancora in grado di riaccogliere il figlio? Si può prevedere una rivalutazione in prossimità dello scadere del termine, ma non un obbligo di decadenza tassativo.
Tanto più che oggi sono in crescita gli affidi cosiddetti 'sine die'. In quel caso come intervenire? Ogni situazione presenta peculiarità specifiche. Il giudice minorile deve poter confezionare il provvedimento a misura di bambino, non viceversa. Alcune proposte di legge mettono al primo posto le esigenze degli adulti. E questo è sbagliato.
Giusto pensare di ascoltare anche i minori di 12 anni? Lei ha espresso alcune perplessità sulla proposta di abbassare a 8 anni il limite per i piccoli coinvolti in procedimenti collegati all’affido.
L’ascolto del minore è obbligatorio dopo i 12 anni. Ma oggi anche a 10 vengono ascoltati ormai ovunque. Al di sotto, il giudice deve poter valutare caso per caso. Non ci può essere un obbligo. Allo stesso modo ci si deve porre per la questione della videoregistrazione. Giusto renderla obbligatoria? La cosa fondamentale, ascoltando un minore, è instaurare con lui un rapporto di fiducia e di spontaneità. Un ragazzino che sa di essere videoregistrato conserva tutta quella spontaneità e quella semplicità che sarebbero necessarie? Non ho una tesi. Sono domande su cui riflettere. Per questo invito alla prudenza. C’è in gioco l’interesse dei bambini.