Europa

Bruxelles. Socialisti a caccia di una coalizione con Tzipras e Macron. E senza il Ppe

Giovanni Maria Del Re venerdì 17 maggio 2019

Gli «spitzenkandidaten» Jan Zahradil, Nico Cue, Ska Keller, Margrethe Vestager, Frans Timmermans, Manfred Weber (Epa)

Una grande alleanza da Tsipras a Macron, senza Ppe e senza sovranisti. Utilizza l’occasione del dibattito televisivo tra i capilista dei vari gruppi al Parlamento Europeo il socialista, Frans Timmermans (primo vicepresidente della Commissione Europea), per lanciare la sua idea di alleanze dopo le Europee del 23-26 maggio. Una proposta in uno scenario scintillante, con la sala della plenaria del Parlamento Europeo a Bruxelles trasformata per una serata in un gigantesco studio televisivo.

L’atmosfera è un po’ quella dello Eurovision Song Contest, a guidare il dibattito una giornalista della televisione francese e un collega di quella tedesca. «Dibattito tra i candidati alla presidenza della Commissione» si legge a caratteri cubitali. Una forzatura, basata sulla richiesta di Popolari e Socialisti che il capolista del partito uscito primo alle Europee sia nominato presidente della Commissione. Un automatismo non previsto dai Trattati Ue e che non piace a molti leader, Macron in testa.

A sfidarsi, oltre a Timmermans, ci sono il popolare tedesco Manfred Weber, sostenuto da Merkel per la successione a Jean-Claude Juncker, il ceco Jan Zahradil per il gruppo dei Conservatori e riformisti, la liberale danese Margrethe Vestager (l’unica a non essere capolista), commissario alla Concorrenza, la Verde tedesca Ska Keller e, per l’estrema Sinistra, l’ex sindacalista belga Nico Cue. «La mia offerta – dice Timmermans – è di lavorare insieme i prossimi cinque anni, in modo da garantire che la prossima Commissione metta la crisi del clima in cima all’agenda, sono sicuro che convinceremo molti nella famiglia liberale e possiamo creare un’alleanza che vada da Tsipras a Macron». Stando almeno agli ultimi sondaggi, a dire il vero, i numeri non basterebbero. A essere il più sotto attacco è comunque proprio Weber. Lui cerca di mostrarsi conciliante, «io – dichiara, alludendo alle parole di Jean-Claude Juncker appena nominato nel 2014 – non dico che la mia sarà la Commissione dell’ultima chance, ma quella di una ripartenza», promettendo un’Ue più unita e vicina ai cittadini.

Ma quando lui conferma l’impegno per il clima, la Verde Keller lo attacca. «Ma come, voi Popolari avete sempre bloccato qualsiasi obiettivo ambizioso!». Timmermans gli rinfaccia l’austerità: quando si discusse se sanzionare Lisbona, appena uscita da un durissimo programma di aiuti, per non aver rispettato tutti gli impegni di bilancio, «Juncker, guardando ai piani del Portogallo, disse sì, può funzionare, invece Weber insisteva: no, dovete punirlo!». Per la sinistra Cue critica la Commissione come fautrice dell’austerity «che non dà alla gente abbastanza da mangiare, serve un salario minimo per cui valga la pena alzarsi al mattino». Anche Timmermans lo vuole. Weber invece frena, «in una recente visita in Portogallo ho parlato con tanti giovani che mi hanno detto: non vogliamo il salario minimo, ma lavori qualificati, ben pagati». Si parla anche di imposte delle multinazionali. «Alexa, quando comincerà Google a pagare finalmente le tasse?» – ironizza Timmermans in riferimento al sistema di riconoscimento vocale della multinazionale Usa. I paradisi fiscali, scherza anche Vestager, «sono quelli in cui tutti pagano le tasse».

A rappresentare gli eurocritici, il ceco Zahradil. «L’era della sempre maggiore integrazione appartiene al passato – dice – auspico un’Ue ridotta, flessibile, decentralizzata. Vorrei una Commissione che rispetti tutti gli Stati membri, piccoli o grandi, dell’Est o dell’Ovest». Parlando di migranti, ribadisce il no alla ripartizione di richiedenti asilo, «dividerebbe ancor più l’Europa».