Diritti e fondi. La Corte di Giustizia Ue respinge i ricorsi di Ungheria e Polonia
La Corte di Giustizia dell'Ue ha respinto il ricorso di Ungheria e Polonia contro il meccanismo di condizionalità che lega l'erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Budapest e Varsavia chiedevano di annullare il regolamento che permette all'Ue di sospendere i pagamenti provenienti dal bilancio europeo agli Stati membri in cui lo stato di diritto è minacciato. La Commissione europea, incaricata di attivarlo, aveva accettato in accordo con i 27 di aspettare la decisione della Corte prima di agire, nonostante il regolamento sia entrato in vigore a gennaio 2021.
"Accolgo con favore queste sentenze, che seguono la posizione difesa dalla Commissione, dal Parlamento, dal Consiglio e da dieci Stati membri nella procedura" ha dichiarato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen.
La Polonia ha definito il verdetto un "attacco contro la nostra sovranità": così ha twittato il vice ministro della Giustizia, Sebastian Kaleta. La ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga, ha bollato la sentenza come "abuso di potere" da parte di Bruxelles.
I ricorsi di Ungheria e Polonia: materia fuori dalle competenze Ue
L'Ungheria e la Polonia avevano proposto ricorso alla Corte di giustizia chiedendo l'annullamento del regolamento adottato da Parlamento e Consiglio in cui si istituisce appunto un regime di condizionalità per la protezione del bilancio dell'Unione in caso di violazioni dei principi dello Stato di diritto negli Stati membri. Per tale obiettivo, il regolamento consente al Consiglio, su proposta della Commissione, di adottare misure di protezione quali la sospensione dei pagamenti a carico del bilancio dell'Ue o la sospensione dell'approvazione di uno o più programmi a carico di tale bilancio. I ricorsi di Ungheria e Polonia erano fondati sostanzialmente sull'assenza di una base giuridica adeguata nei Trattati e, tra l'altro, sul superamento dei limiti delle competenze dell'Unione, oltre a sostenere la violazione del principio della certezza del diritto.
Nelle cause, oltre a Ungheria e Polonia che si sono reciprocamente sostenute nel ricorso, sono intervenuti a sostegno del Parlamento e del Consiglio Ue anche il Belgio, la Danimarca, la Germania, l'Irlanda, la Spagna, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Finlandia, la Svezia e la Commissione.
La sentenza: l'Ue deve poter far rispettare i valori fondativi
La Corte Ue ha ricordato tra l'altro che il rispetto da parte degli Stati membri dei valori comuni sui quali l'Unione si fonda, che sono stati identificati e condivisi dai medesimi, e che definiscono l'identità stessa dell'Unione quale ordinamento giuridico comune a tali Stati, tra i quali lo Stato di diritto e la solidarietà, giustifica la fiducia reciproca tra tali Stati. Poiché tale rispetto costituisce quindi una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall'applicazione dei Trattati a uno Stato membro, l'Unione deve essere in grado, nei limiti delle sue attribuzioni, di difendere tali valori. Ha precisato anche, da un lato, che il rispetto di tali valori non può essere ridotto a un obbligo cui uno Stato candidato è tenuto al fine di aderire all'Unione e dal quale potrebbe sottrarsi in seguito. Dall'altro lato, ha sottolineato che il bilancio dell'Unione è uno dei principali strumenti che consentono di concretizzare, nelle politiche e nelle azioni dell'Unione, il principio fondamentale di solidarietà tra Stati membri.
Un meccanismo di condizionalità orizzontale, come quello istituito dal regolamento, che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell'Unione al rispetto da parte di uno Stato membro dei principi dello Stato di diritto, può dunque secondo i giudici rientrare nella competenza, conferita dai Trattati all'Unione, di stabilire "regole finanziarie" relative all'esecuzione del bilancio dell'Unione.