L’«altro» 14 febbraio. L’Europa respira con «due polmoni». Grazie a Cirillo e Metodio
A chi non si ferma a ciò di cui parlano tutti – noi compresi, s’intende –, dietro il profilo di san Valentino si scorge il giganteggiare dei due fratelli greci Cirillo e Metodio che evangelizzarono ampie regioni dei Balcani, e che la Chiesa ricorda lo stesso giorno, attribuendo anzi alla loro memoria liturgica il rilievo di "festa". Una giornata nella quale la gioia della Chiesa si intreccia con la storia e la costruzione dell’Europa. Vediamo perché.
L’identità europea certamente non sarebbe la stessa senza il contributo di questi due protagonisti di un’avventura missionaria con pochi eguali nell’espansione del cristianesimo. Originari di Salonicco, agli inizi del IX secolo, furono inviati dal vescovo di Costantinopoli Fozio per avvicinare al Vangelo i popoli della Pannonia (oggi parte dell’Ungheria) e della Moravia (attualmente inclusa nella Repubblica Ceca). Il loro straordinario merito fu di calare il messaggio cristiano nel modo più profondo dentro la vita delle genti alle quali predicavano la radicale novità evangelica: cioè passando attraverso la loro lingua, alla quale Cirillo diede una forma unitaria creando un alfabeto che ne traducesse i suoni e che fu per questo poi ribattezzato "cirillico". L’altra grande impresa di cui furono protagonisti fu la traduzione delle Scritture in questo alfabeto, e dunque nella lingua popolare. Vengono ricordati insieme il 14 febbraio, giorno della morte di Cirillo a Roma, dove i due fratelli si recarono per incontrare il Papa nell’869 ed essere confermati nella loro missione.
Morto Cirillo (che in realtà si chiamava Costantino, ma che volle cambiare nome come segno del suo essersi fatto «tutto a tutti»), Metodio ripartì verso Est, incontrando però dure incomprensioni da parte di chi non capiva e anzi fraintendeva la loro opera di radicamento locale della fede, tanto che sperimentò persino il carcere, dal quale lo salvò solo l’intervento del Pontefice. Morì nell’885.
I due fratelli, veneratissimi da tutti i popoli di origine slava, contribuirono in modo decisivo a estendere a Est l’idea cristiana di uomo e di società creando le condizioni per il consolidarsi di una civiltà che – pur assai differente per lingua e tradizioni – nel nome della comune fede si sente come profondamente unita a quella diffusa nell’Europa occidentale. Un dato di fatto decisivo per la storia europea, riassunto da Giovanni Paolo II – Papa polacco, che conosceva assai bene le figure di Cirillo e Metodio – nella celebre espressione dell’Europa che «respira con due polmoni». A Wojtyla non a caso si deve la proclamazione dei due santi a «co-patroni d’Europa» nel 1980, accanto a Benedetto da Norcia – padre del monachesimo, che risollevò il continente facendovi scorrere i valori e la cultura evangelici –, Brigida di Svezia – legata ai popoli del Nord –, Caterina da Siena – figura di straordinaria levatura culturale e teologica, donna di pace e protagonista di unità nella Chiesa e tra le potenze europee – e Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, morta in quel Golgota europeo del XX secolo che fu Auschwitz.
Tale era l’importanza che attribuiva a Cirillo e Metodio nella storia della Chiesa e dell’Europa che Giovanni Paolo II dedicò loro un’enciclica, la «Slavorum apostoli», firmata il 2 giugno 1985, nella quale spiegò come l’idea di universalità della Chiesa in loro si coniugasse con la ferma convinzione del ruolo che ciascun popolo può portare al corpo comune. Un principio che si è poi travasato nella stessa costruzione dell’Europa: una comunità di Stati che mantengono ciascuno la propria identità ma riconoscono un terreno solido che li unisce e un vantaggio reciproco nel sostenersi a vicenda, come in una famiglia. «La loro opera – scrive Wojtyla al n.24 dell’enciclica – costituisce un contributo eminente per il formarsi delle comuni radici cristiane dell'Europa, quelle radici che per la loro solidità e vitalità configurano uno dei più solidi punti di riferimento, da cui non può prescindere ogni serio tentativo di ricomporre in modo nuovo e attuale l'unità del continente».