La svolta. Accordo Ue, più tutele per i lavoratori delle piattaforme digitali
E’ possibile capire quando una persona che lavora per una piattaforma digitale non sia un autonomo, ma abbia invece con la stessa piattaforma un rapporto di lavoro dipendente, seppur mascherato? Parlamento e Consiglio Ue ritengono di sì e lo hanno messo nero su bianco all’interno di un accordo politico sulle nuove norme che puntano a migliorare le condizioni di lavoro del personale delle piattaforme digitali.
Si stima che entro il 2025 saranno 43 milioni nell’Unione le persone che lavorano per piattaforme come Uber o Just Eat. Già oggi sono 28 milioni e per almeno 5,5 milioni di loro la classificazione del loro rapporto di lavoro non è corretta. Le nuove norme introducono una presunzione di rapporto di lavoro che scatta quando sono presenti due indicatori di controllo o di direzione su un elenco di cinque. La presunzione può essere fatta valere dal lavoratore, dai suoi rappresentanti e dalle autorità competenti di propria iniziativa. Tra gli indicatori di controllo, la supervisione delle performance dei lavoratori, anche attraverso mezzi elettronici, le restrizioni o la scelta delle ore lavorative, limiti alla libertà delle persone sull’organizzazione del loro lavoro, tutti segnali, secondo l’accordo raggiunto dalle istituzioni europee, che il rapporto di lavoro in vigore è di carattere subordinato, non autonomo. In questi casi, dovranno essere le piattaforme digitali a dimostrare l’assenza di subordinazione, secondo le leggi nazionali.
"Un accordo rivoluzionario - ha sottolineato la relatrice del provvedimento Elisabetta Gualmini - che costituisce il primo quadro normativo per i lavoratori delle piattaforme digitali. Oggi possiamo dire ai circa 40 milioni di addetti del settore, molti dei quali precari, che l'Europa c'è ed è con loro". La Direttiva sul lavoro nelle piattaforme digitali mira dunque a garantire la corretta classificazione dello stato occupazionale delle persone che svolgono lavoro per le piattaforme online, ma anche a introdurre le prime norme dell’Unione Europea sulla gestione degli algoritmi e sull'uso dell'intelligenza artificiale sul posto di lavoro.
Il testo stabilisce infatti che le persone che lavorano su piattaforme abbiano accesso alle informazioni su come funzionano gli algoritmi e su come il loro comportamento influenza le decisioni prese dai sistemi automatizzati. Gli eurodeputati chiedono inoltre che alle piattaforme digitali sia vietato prendere decisioni importanti, come licenziamenti e decisioni di sospendere un account, senza la supervisione umana. Il testo garantisce quindi più controllo umano sulle decisioni dei sistemi che incidono direttamente sui lavoratori, obbligando le piattaforme a valutare l'impatto delle decisioni prese. Le nuove norme, infine, proibiranno alle piattaforme di trattare determinati tipi di dati personali, come convinzioni personali, scambi privati con colleghi nella gestione del personale.
L'accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio Ue dovrà ora essere formalmente adottato da entrambe le istituzioni europee, successivamente gli Stati membri dell'Unione avranno due anni di tempo per incorporare le norme nella loro legislazione nazionale. Negli ultimi anni l'economia delle piattaforme digitali è cresciuta a dismisura, con ricavi incrementati da una stima di 3 miliardi di euro nel 2016 a circa 14 miliardi nel 2020. Se la crescita delle piattaforme digitali ha portato benefici alle stesse imprese e in molti casi ai consumatori, essa ha avuto come conseguenza anche lo sviluppo di una zona grigia per quanto riguarda lo status dei lavoratori delle piattaforme stesse. Secondo la Commissione, circa 5,5 milioni di lavoratori, attualmente classificati come autonomi, hanno di fatto un rapporto di lavoro subordinato con le piattaforme digitali e dovrebbero per questo godere degli stessi diritti garantiti agli altri lavoratori dipendenti secondo le regole europee. Le proposte relative alle nuove norme sono state in passato criticate da Delivery Platforms Europe, che annovera tra i suoi membri piattaforme come Bolt, Deliveroo, Glovo e Uber.
Il testo stabilisce infatti che le persone che lavorano su piattaforme abbiano accesso alle informazioni su come funzionano gli algoritmi e su come il loro comportamento influenza le decisioni prese dai sistemi automatizzati. Gli eurodeputati chiedono inoltre che alle piattaforme digitali sia vietato prendere decisioni importanti, come licenziamenti e decisioni di sospendere un account, senza la supervisione umana. Il testo garantisce quindi più controllo umano sulle decisioni dei sistemi che incidono direttamente sui lavoratori, obbligando le piattaforme a valutare l'impatto delle decisioni prese. Le nuove norme, infine, proibiranno alle piattaforme di trattare determinati tipi di dati personali, come convinzioni personali, scambi privati con colleghi nella gestione del personale.
L'accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio Ue dovrà ora essere formalmente adottato da entrambe le istituzioni europee, successivamente gli Stati membri dell'Unione avranno due anni di tempo per incorporare le norme nella loro legislazione nazionale. Negli ultimi anni l'economia delle piattaforme digitali è cresciuta a dismisura, con ricavi incrementati da una stima di 3 miliardi di euro nel 2016 a circa 14 miliardi nel 2020. Se la crescita delle piattaforme digitali ha portato benefici alle stesse imprese e in molti casi ai consumatori, essa ha avuto come conseguenza anche lo sviluppo di una zona grigia per quanto riguarda lo status dei lavoratori delle piattaforme stesse. Secondo la Commissione, circa 5,5 milioni di lavoratori, attualmente classificati come autonomi, hanno di fatto un rapporto di lavoro subordinato con le piattaforme digitali e dovrebbero per questo godere degli stessi diritti garantiti agli altri lavoratori dipendenti secondo le regole europee. Le proposte relative alle nuove norme sono state in passato criticate da Delivery Platforms Europe, che annovera tra i suoi membri piattaforme come Bolt, Deliveroo, Glovo e Uber.