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Iniziativa. A Perugia anche il supermercato è di comunità

Emanuele Lombardini giovedì 17 ottobre 2024

Un negozio speciale, dove il cibo non rappresenta lo strumento per generare profitti, ma il mezzo per garantire da un lato la sostenibilità economica alle piccole aziende agricole e dall’altro prodotti di qualità a un giusto prezzo per i consumatori. Ma anche – particolare non secondario – il modo per salvare l’attività economica in uno dei quartieri più popolosi di Perugia, ovvero Fontivegge, a due passi dalla stazione centrale. Una zona con tante famiglie con bambini, tre scuole e tante realtà che quotidianamente hanno necessità di approvvigionarsi ma devono fare i conti con una crisi strisciante del commercio di prossimità che solo nella provincia perugina – i dati sono dell’istituto Tagliacarne – ha visto sparire oltre 100 imprese in 4 anni, con un calo solo nell’ultimo anno di 557 addetti.Nascerà con queste premesse a Perugia – per iniziativa delle associazioni MenteGlocale, Coscienza Verde, Cap 06124 e Cia Umbria – il primo supermercato collaborativo dell’Umbria, progetto finalista di CoopStartUp, il bando di Legacoop dedicato ai nuovi progetti cooperativi.

La FoodCoop, che inizialmente dovrebbe partire con due dipendenti e alcuni volontari, sarà gestita da una cooperativa di comunità e dovrebbe aprire i battenti a maggio 2025 ma è già in corso la manifestazione di interesse per le aziende agricole.Matteo Bartolini, presidente di Cia Umbria e vicepresidente nazionale dell’associazione, spiega: «Ci siamo resi conto che di fronte ad una crisi del settore che obbliga a progetti di filiera, le imprese del territorio da sole non ce la fanno, perché sono troppo piccole. Per cui occorreva creare una comunità locale, un’aggregazione di imprese che fornisse una risposta ai problemi». Che a Perugia e in quella specifica zona sono tanti e diversi. Il primo dei quali è il supermercato che ha chiuso. Da qui l’idea – nata insieme alle associazioni del territorio e al dipartimento di Agraria dell’Università di Perugia – di sviluppare il progetto. Proprio i modelli sviluppati dall’ateneo sono stati alla base dell’idea: «Puntiamo a raggiungere il perfetto equilibrio fra l’equo costo per il cliente e il giusto guadagno per il produttore – evidenzia Giordano Stella, ricercatore universitario e fra i soci del progetto come presidente di Coscienza Verde – ma è un percorso che va costruito tutti insieme. Per questo diventano importanti anche le esigenze del quartiere: partiremo quindi a breve con un community engagement che servirà ad informare sull’idea e sulla governance per passare poi alla formazione su come partecipare alle assemblee, visto che costruiremo una cooperativa di comunità. Il tutto per iniziare operativamente col progetto a gennaio». Una sfida importante, dalla quale i promotori contano di costruire una catena virtuosa: «L’idea – aggiunge Stella – è che i proventi ottenuti saranno reinvestiti nel quartiere e nelle aziende agricole locali, rafforzando così ulteriormente il legame tra comunità e produzione sostenibile».

Peraltro questa del supermercato di comunità non è la prima idea di rigenerazione urbana nata nel quartiere: Avvenire raccontò di PopUp, il bar che è anche libreria e ha ridato vita al territorio. Alcuni dei soggetti promotori sono gli stessi. Come Giorgio Vicario, che spiega: «I cittadini non verranno solo a fare la spesa, ma potranno incidere anche sulle scelte del supermercato, per esempio su quali prodotti si venderanno, da quale fornitore prenderli e quali prezzi fare. Venditori ed acquirenti sono soci e per i cittadini ci sarà la possibilità, attraverso gruppi di lavoro volontario, di contribuire fino ad un massimo di tre ore al mese, alla crescita del supermercato, in cambio di sconti sulla spesa». Altra caratteristica è ovviamente l’assenza di mediatori: l’acquisto è quindi direttamente dal produttore al consumatore: «Lo facciamo già con un gruppo d’acquisto solidale – spiega Vicario – adesso avremo un luogo fisico, che è un riferimento anche per le aziende agricole. In gran parte, saranno coinvolti piccoli produttori locali, ma anche là dove si rendesse necessario rifornirsi da realtà maggiori, sarà sempre senza intermediari».Proprio questo rapporto diretto con i produttori consentirà a questi ultimi anche di programmare le colture e quindi di investire. «L’operazione diventa per questo anche un’occasione di lavoro, per esempio in alcune zone rurali – aggiunge Bartolini –. Lo è per i giovani, ma anche per le imprese in generale, perché dal settore agricolo potrebbe partire la costruzione di una intera filiera, che includa magari la trasformazione degli stessi prodotti e la vendita stessa». L’idea quindi è quella di costruire una vera e propria idea di comunità che possa fungere da modello esportabile, sia a livello regionale – con una particolare attenzione ai territori – che nazionale e persino europeo: «Come vicepresidente nazionale di Cia – spiega Bartolini – ho la delega alle politiche europee e posso assicurare che a Bruxelles c’è sempre più attenzione a questi modelli economici, anche perché le conseguenze degli eventi geopolitici di questi anni hanno stimolato una riflessione sul futuro delle economie nazionale, particolarmente in questo comparto».

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