Relazioni. Sono quindi coopero: se identità è (anche) dirsi un ciao sul pianerottolo
Immaginate se da domani l’umanità intera, cioè le relazioni interpersonali, gli scambi, lo sviluppo, i rapporti di potere e dunque la politica, l’economia, la tecnica perfino, immaginate se tutto questo fosse regolato non dalla competizione, come avviene nel sistema capitalistico dominante oggi, ma dalla cooperazione. In biologia succede. Siamo quello che siamo oggi, evolutivamente, non solo per competizione e selezione darwiniana, ma per cooperazione, Di più: per simbiosi. Di più: per endosimbiosi.
Facciamo un salto alla metà dei favolosi Anni Sessanta. Negli Usa una giovane studentessa di biologia ha appena discusso la sua tesi di dottorato e pubblica un articolo sulla sua teoria. Disinteresse totale, se non scandalo, rifiuto da parte del sistema del mondo accademico. La studentessa si chiama Lynn Margulis e che cosa sostenga la sua teoria, detta dell’endosimbiosi (o simbiosi endogena), è molto semplice e molto rivoluzionario: le cellule eucariotiche, quelle che compongono i nostri corpi, le piante e gli altri esseri viventi, sono in realtà un’unione simbiotica di cellule procariotiche primitive, o meglio, sono il risultato evolutivo della fusione simbiotica tra organismi procarioti. Anche per noi profani il concetto è chiaro, almeno a grandi linee: la cellula non è “la” cellula, ma un insieme simbiotico al suo interno.
La simbiosi è la forza evolutiva, sostiene Margulis, in opposizione (pur senza negarla!) alla teoria darwinista della sola selezione competitiva come motore dell’evoluzione. Ci sono voluti circa quindici anni perché la teoria di Lynn Margulis venisse accettata dalla comunità scientifica. Oggi è patrimonio assodato, si studia al primo anno di biologia. E noi impariamo tre cose. La prima: è curioso come l’eterodossia fatichi sempre ad aprire una breccia nel “sistema” consolidato e autodifensivo, ma quando lo fa, diviene sostanziale per quel medesimo sistema e diviene a sua volta ortodossia. La seconda è che miglioriamo per cooperazione e non per competizione: una lezione che il capitalismo dovrebbe contemperare all’interno delle proprie leggi ferocemente selettive. A pensarci bene, anche i propugnatori convinti della meritocrazia farebbero bene a riflettere su questa teoria biologica. La terza cosa che impariamo è la più interessante, e riguarda l’importanza delle relazioni simbiotiche o cooperative tra le specie, che ci porta alla “naturalità” della convivenza e non solo della coesistenza.
Fra i due termini, infatti, c’è una enorme differenza, ben marcata nella lingua italiana: coesistenza è una esistenza contemporanea in uno stato di separazione, cioè di non-interferenza; convivenza è coinvolgimento e interazione. La coesistenza si realizza fra le famiglie che vivono nei propri appartamenti ben chiusi di un condominio, la convivenza invece inizia sul pianerottolo. Quel pianerottolo è lo spazio di interazione fra le diverse famiglie, i diversi individui, le diverse identità o le diverse culture, se volete. Uno spazio comune, di comprensione, uno spazio “tra” gli appartamenti. Nulla vieta poi che le porte vengano aperte e le persone siano ospiti di una o dell’altra casa, ma il pianerottolo è ciò che ci interessa di più: lì avviene lo scambio, l’interazione, la convivenza. E quello spazio, aprendosi, di fatto allarga gli appartamenti, dando a ciascuno qualche metro quadrato in più da abitare. Così si ottiene di vivere in una dimensione interculturale, non in un condominio multiculturale a compartimenti stagni. Ma la lezione di Lynn Margulis non finisce qui: secondo la biologa, il concetto stesso di individuo, come unità fondamentale dell’evoluzione, non è autonomo né rigido, proprio perché è in stretta relazione simbiotica e mutualistica con gli altri esseri viventi, dentro e fuori di sé, come piante e animali, senza i quali morirebbe. Un enorme sistema simbiotico che ci fa restare vivi e che (per ora) mantiene il pianeta stesso in vita, come un grande “olobionte”, secondo la definizione della stessa Margulis, cioè una totalità vivente.
A questo aggiungiamo che dei settanta chili di peso di un uomo medio, circa un chilo e mezzo è costituito da batteri, virus, protozoi, funghi: una microflora e microfauna che si chiama microbiota. Un chilo e mezzo di estranei che vivono dentro di noi e che influenzano il nostro sistema immunitario e perfino il nostro umore, poiché comunicano indirettamente con il sistema nervoso centrale. Come possiamo quindi definirci individui, cioè indivisibili? In effetti molti biologi, sulla scorta della filosofia della scienza, adottano il termine “con-dividuo”, ritenendolo più appropriato. Ancora una volta, pensando alla nostra identità, siamo costretti a chiamare in causa una serie di relazioni interne ed esterne che la rendono possibile come un reticolato dinamico interconnesso, piuttosto che un’unità stabile e autonoma. E non si tratta di una mera relazione di coesistenza fra elementi che risiedono in un medesimo spazio o partecipano allo stesso processo, si tratta invece di simbiosi, cioè, letteralmente, di convivenza. Identità e convivenza non sembrano essere termini scindibili e ciò costituisce il fondamento, potremmo dire biologico, della comunità cooperante come funzione evolutiva.
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