Modelli. Se la nostra vocazione sociale è ancora desta
Alla ricorrenza della pubblicazione della raccolta di articoli, interventi e saggi di Giorgio La Pira, dal titolo La nostra vocazione sociale, il retaggio degli ideali del venerabile di Pozzallo conserva immutata attualità. E continua a interpellarci. Ora come allora. Il portato dei principi fondamentali della Costituzione, sintesi di mediazioni fra opposte visioni, deve tanto alla sua dialettica irradiata dalla fede. Architrave della costituzione materiale in fieri configurata da Mortati. Nel divenire di un oggi sempre mutevole, si staglia nella sfumata policromia degli orizzonti di uno sviluppo possibile, perseguibile, eppure ancora così tanto perfettibile. Immanenza archetipa e cogente del diritto naturale. Infungibilità del lavoro, costitutivo della persona umana e fondativo della società. Inderogabilità dei caposaldi di solidarietà ed eguaglianza sostanziale. Rilevanza dei corpi sociali intermedi intercomunitari. In ognuno, la sua impronta. E ognuno attende attuazione piena, con una forte chiamata di responsabilità per i credenti. Tuttavia, avvertiamo ancora l’impegno a edificare una società su valori etici primigeni e immutabili? Dal turbinio di cambiamenti epocali emerge il dubbio che la nostra vocazione sociale sia ancora desta. Le risposte dei sistemi economici e politici alle esigenze sociali impongono adattamenti ex post.
Ma è forse smarrita la capacità di anticipare le contingenze, elaborando prospettive ex ante? Mirate all’uomo, che si rispecchia nel fratello in quanto immagine di Dio? Fino a rimetterci in gioco e prodigarci per questo? Istanze naturali, ovvie, persino pleonastiche, si direbbe. Ma lo sono proprio? E sottese a esiti condivisi negli intenti e convergenti nelle azioni? Al di là di mere petizioni di principio o di effimeri slanci emotivi? Quando le reazioni istintive hanno sempre più diffusa eco e le tensioni ideali si esprimono comodamente, e supinamente, in slogan ripetitivi. Finché, accentuate schematizzazioni degradano per progressive semplificazioni, ad arbitrarie polarizzazioni. Bianco o nero, tertium non datur. Si è in o out, monetaristi o keynesiani, statalisti o liberisti, ma in definitiva, relegati al ruolo di attori e spettatori, al contempo, più o meno consapevoli, di un girotondo mediatico autoreferenziale. La realtà è però ben più variegata di quanto si voglia far intendere e più che ad un aut-aut lo spirito inclusivo evocato dal Magistero ci induce invece ad un et-et. La Pira sovviene a suggerire che la soluzione è insita in nuce nell’accezione della vocazione. Con fecondità di pensiero e coerenza di fede.
E come la dimensione contemplativa, il giardino segreto da coltivare con cura, sia la scuola dell’impegno sociale per « abbattere i muri e costruire i ponti». Perché «ogni conquista individuale è incompiuta se non è integrata e coronata da quella collettiva». Eppure si fa sempre più fatica ad affrancarsi dalla fatua ricerca di facili consensi, in vista di una progettualità preordinata alla promozione umana. Di cui il nostro è stato assertore e paladino. Basti citare il tenore di certi assunti, nel dibattito corrente su come affrontare le emergenze sociali. Una narrazione che sull’utilizzo delle risorse vorrebbe contrapposte politiche di sostegno del lavoro, nelle sue componenti, a quelle di natura sussidiaria e finalità assistenziali. Dispute sterili al limite della banalità. Sin da L’attesa della povera gente, La Pira ci ricorda che siamo tutti membra del Corpo di Cristo e che nel discernimento delle scelte di rilevanza sociale, ogni questione trova soluzione nella Parola. Se il lavoro forgia l’uomo quale custode delegato del creato, come disposto dal Padre (Genesi, 2), la prossimità nell’assistenza ai fratelli con le opere di misericordia, lo assimila a Cristo (Matteo, 25). Mai antitetiche, quelle politiche rimandano tutte a doveri da ottemperare uti singulis et in societate. Così la nostra vocazione sociale propone corretti criteri interpretativi e indica sicure linee operative.
La Via maestra resta sempre il riferimento, creduto e vissuto, alla nostra Figliolanza in Cristo. Da qui l’onere per il credente, di risalire e rifarsi ai modelli costitutivi della sua stessa persona. Su tali basi, con spirito confidente, ripercorrendo il Sentiero di Isaia, può allora riproporsi il quesito. Siamo ancora disposti a rispondere a quella vocazione? Sì, se abbiamo chiaro che, come ogni grazia, la chiamata è irrevocabile e ferma nel tempo e che più che in attivismi personali, la risposta sta nell’aprirsi all’afflato rivelatore e conducente dello Spirito. Stella del mattino. Guida nel cammino. Logos in eterna attuazione. Parola di Vita, che si fa vita per tutti, a tutti si rivolge e tutti impegna, parla ai cuori e cammina proprio con le gambe degli uomini. Animo, dunque. Aderendo all’invito del Santo di Cracovia, come il mistico in politica, non abbiamo paura di aprirci alla forza innovatrice della Rivelazione e alla sua salvatrice Potestà. Permettiamo a Cristo di parlare all’uomo e prestiamo ascolto, perché l’uomo che prega ha le mani sul timone della storia.