Il manifesto. Il riposo come atto di resistenza
L'artista afroamericana Tricia Hersey
Se tornati dalle vacanze estive sentiamo di avere “ricaricato le pile” e raccolto energia a sufficienza per tornare al lavoro e dare il nostro meglio, allora potremmo avere qualche problema. Problemi di approccio alla vita, al lavoro e soprattutto al riposo, ci direbbe Tricia Hersey, autrice del provocatorio manifesto Riposare è resistere, recentemente tradotto in italiano da Edizioni Atlantide. Perché – è la tesi di Hersey – gli esseri umani sono fatti per riposare, più che per lavorare, e allora se il nostro riposo è funzionale al lavoro potrebbe esserci utile rivedere la nostra la scala delle priorità.
Hersey, che ha cinquant’anni ed è afroamericana, è un personaggio singolare: artista, poetessa, attivista per i diritti dei neri, teologa di formazione metodista con una laurea breve in Salute pubblica, ha fondato nel 2016 il Nap Ministry, che sarebbe il Ministero del Pisolino o del Riposino (ma le traduzioni italiane della parola Nap, ammette la stessa traduttrice Olimpia Ellero, sono sempre un po’ infantilistiche e quindi non si adattano bene a questo progetto) e se ne proclama la “vescova”. Lo ha fondato dopo che i suoi studi sulla salute della popolazione americana l’hanno portata ad approfondire il problema della stanchezza e della carenza di sonno come un’emergenza nazionale.
Al centro dell’attività di questo “ministero” ci sono le esperienze di riposo collettivo. La prima, nel 2017 in un centro yoga di Atlanta, in Georgia, è nata come happening artistico: una quarantina di sconosciuti che si ritrovano a metà pomeriggio per riposare un paio d’ore tutti insieme, sotto la guida di Hersey. Dopo quel primo incontro ne sono arrivati altri, in decine di città americane e in appuntamenti online (soprattutto durante la pandemia), con centinaia di partecipanti. Spesso, racconta Hersey, nei brevi dibattiti che si aprono dopo il risveglio le persone che hanno sperimentato il riposo collettivo si mettono a piangere: «La gente si risveglia piangendo perché capisce quanto è stanca. Non realizza quanto sia grave il suo burnout finché non prova a schiacciare un pisolino nel bel mezzo della giornata. È quel momento di pausa a dargliene una comprensione così profonda».
L'artista afroamericana Tricia Hersey - Ed. Atlantide
Il riposo, per Hersey, è innanzitutto un atto politico di resistenza: in particolare resistenza al modello economico prevalente negli Stati Uniti, dove un capitalismo dai pochi freni ha generato quella che chiamano la grind culture, la cultura dello sgobbare. L’idea di fondo della grind culture è che il valore di una persona dipenda da quanto è produttiva. Nell’idea della fondatrice del Nap Ministry, riposare di più e anche resistere alla «supremazia bianca» e il «patriarcato», in una visione che può sembrare estrema ma che va inquadrata nella sua diretta derivazione dall’esperienza degli schiavi afroamericani.
Nelle lettere e testimonianze degli schiavi in America raccolte da John Blassingame e pubblicate nel 1977 nel monumentale Slave Testimony, Hersey ha individuato «l’origine brutale del capitalismo americano», germogliato nelle piantagioni di cotone dove gli schiavi venivano sfiancati come animali. L’idea che si debba lavorare finché non si è esausti, che ci si possa estenuare di lavoro, che sia normale arrivare stanchissimi a fine giornata, si è tramandata di generazione in generazione, soprattutto nei discendenti di quegli schiavi, ma non solo tra loro e non soltanto in America. È sopravvissuta alla fine dello schiavismo ed è diventata una quasi-normalità della società occidentale. Mettere la produttività davanti a tutto e darle la priorità anche rispetto alla salute fisica e mentale delle persone a molti sembra ancora qualcosa di sensato. Hersey invita a comprendere che «siamo già abbastanza» e quindi per dimostrare il nostro valore non abbiamo bisogno di lavorare fino allo sfinimento con in mente chissà quali traguardi.
«Siamo in deficit di sonno perché il sistema ci considera macchine, ma i nostri corpi non sono macchine – scrive oggi Hersey –. Sono un luogo di liberazione. Siamo esseri divini, e così è il nostro riposo»
È nell’"essere abbastanza" che emerge il lato spirituale della proposta di questa artista, il cui padre era un operaio ferroviario ma anche animatore della comunità evangelica del quartiere: «Sei una figlia di Dio, per nomina divina, scelta per stare sulla Terra» le ricordava il papà quando le spiegava i meccanismi di discriminazione razziale che sopravvivevano nella Chicago degli anni ‘70. «Siamo in deficit di sonno perché il sistema ci considera macchine, ma i nostri corpi non sono macchine – scrive oggi Hersey –. Sono un luogo di liberazione. Siamo esseri divini, e così è il nostro riposo». Ed è il riposo che crea lo spazio per ascoltare sé stessi e riscoprire la propria anima: «Secondo me, le nostre anime ci stanno dicendo che non fermarsi mai è ridicolo e che, se verranno private della cura offerta dal riposo, sono destinate a morire».
Non occorre condividere tutto il pensiero di Hersey per trovarvi dentro diverse buone ragioni. Soprattutto una buona ragione di fondo: tra i tanti mali della società contemporanea c’è anche questa enorme stanchezza mentale e fisica della sua popolazione, addirittura aggravata da nuove tecnologie che da un lato rendono possibile lavorare da dovunque e in ogni momento e dall’altro cercano di tenerci sempre all’erta attraverso social network e notifiche. Ragionare su come uscirne è già un primo passo.