Personaggi. Cucinelli: «Il mio capitalismo umanistico per dare dignità al lavoro»
A Solomeo splende la luce. Quella reale della primavera che illumina questo borgo umbro sede dell’azienda di Brunello Cucinelli e quella ideale dei tanti progetti. Lui, il “re del cashmere”, mescola il debutto nel mondo dei profumi e un’intesa con Chanel sul Lanificio Cariaggi e amalgama il tutto con il tocco che gli deriva da esperienze che non lo hanno disincantato e da quell’approccio umanistico che è il suo dna d’imprenditore.
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Cucinelli, lei si è descritto come un giovane che studiava poco e passava lunghe ore al bar. Cosa è stato quel “qualcosa” che è scattato e l’ha fatta diventare un imprenditore noto in tutto il mondo?
Nel mio caso, una certa qual percezione di ingiustizia: vedevo mio padre con gli occhi lucidi, tornava vessato dal lavoro e mi sono detto che, qualsiasi cosa avessi fatto, l’avrei fatta per la dignità dell’essere umano. Credo ci sia una differenza tra l’avere un sogno e il coltivarlo con pazienza e perseveranza. E a farla è anche il poter condividere quel sogno con “anime pensanti” a te simili, come a me è capitato a Solomeo.
Qual è stata la “sliding door” della sua vita?
Fu quando, giovane con entusiasmo e poche certezze, ebbi da un direttore di banca un prestito di 500mila lire per avviare l’attività col cashmere. Non era solo un prestito: era un nobile atto di fiducia nell’essere umano e io ho sempre custodito una grande gratitudine per quel direttore. Proprio per questo ho fiducia nei giovani: oggi in azienda la media d’età è sui 38 anni. E quando li vedo mi emoziono, mi rivedo in loro.
Lei è cresciuto nella miseria, senza luce. Cos’è per lei la ricchezza?
Miseria non direi; la mia era una famiglia che lavorava sodo la terra e aveva tutto l’essenziale. Mio nonno ci ha dato una grande lezione: destinava il primo sacco di grano alla comunità, pensando a chi aveva più bisogno. La civiltà contadina mi ha insegnato il rispetto di chi lavora, senza differenze. Per questo la ricchezza la vedo certo come un notevole aiuto, che rischia però di essere meno bello se non è accompagnato dal senso di giustizia sociale e dalla consapevolezza dei sacrifici.
Qual è il problema principale oggi per il mondo produttivo?
Il nodo del futuro non sarà tanto a chi vendere i nostri prodotti, ma a chi farli produrre e lavorare. Quello dei modi di produzione è un gran tema, di mezzo c’è la questione della dignità. La mia visione del mondo si basa sulla via che chiamo del capitalismo umanistico e della umana sostenibilità. Se vogliamo che le cose che produciamo siano belle, non possiamo ignorare il come vengono fatte, in quali luoghi e in quali condizioni. Ma non sono preoccupato, credo molto che la nostra epoca ci riserverà grandi cose anche sul piano umano e spirituale.
Cosa ne pensa della proposta di un liceo del made in Italy?
A Solomeo già cerchiamo di valorizzare le sapienti mani artigiane, che meritano stipendi leggermente più alti. Abbiamo una Scuola delle arti e mestieri, che stiamo potenziando, per dare il giusto peso alla formazione e trasmissione dei saperi.
Perché un modello come il suo, alla Olivetti, non attecchisce di più?
Non trovo efficace in genere esportare modelli, ma voglio che i miei collaboratori possano lavorare “per bene”. Per questo servono però le condizioni: un certo modo di produrre, un luogo confortevole, l’armonia. L’auspicio più vivo è che altre realtà imprenditoriali, pur diverse da Solomeo, possano fare una loro scelta di custodia della bellezza e di promozione della dignità umana.
E come convincerebbe un collega?
Gli direi quello che mi ripeteva mio padre: «Sii sempre una persona per bene». Se un tale valore divenisse comune, il bene del singolo diverrebbe bene di ognuno.
Dice che non trasferirà mai fuori Italia la sede. Ma cosa vorrebbe vedere di diverso in questo Paese?
La nostra bella Italia ha tanti valori altissimi. E quanto essa può fare ancora di più non ha limiti. Ritengo che coltivare al meglio l’autostima sia fondamentale, ne vedo poca in giro. In generale mi piacerebbe che un po’ tutti si tornasse a credere in una politica amabile e nella condivisione di uno spazio che promuova la cultura della partecipazione.
Parla molto di giovani, a loro ha scritto anche una lettera.
Sì, abbiamo vissuto troppo a lungo con la convinzione che i giovani o studiano o vanno a lavorare. Il lavoro è stato percepito quasi come una punizione e tutti, oggi, siamo chiamati a fare qualcosa perché non sia più così. Anche la politica è bella se lavora per dare fiducia ai giovani e loro, sentendosi gratificati, sono certo che sapranno donare creatività al mondo di domani.
Ha lasciato le redini a due Ad più giovani: gestioni aziendali troppo lunghe sono un danno?
Non mi sono messo da parte, ma ho sempre pensato che, a un certo punto della vita, sia proficuo diradare la presenza, ma stando accanto a chi ha bisogno di sentire che ci sei. Come Riccardo Stefanelli e Luca Lisandroni, pieni di una gran passione.
Avrà fatto anche lei degli sbagli?
Ognuno ne compie e trovo vero quello che fa notare in maniera illuminata Buddha quando dice: «Facile a scorgere è l’errore altrui, difficile è invece il proprio». Però conta quello che ne può derivare quando si ha la forza di apprendere dall’esperienza fatta.
Ci conia una sua frase che possa identificarla?
Ci provo: «L’essere umano è veramente tale se e solo se viene rispettato nella sua dignità, libertà, coscienza morale e spiritualità». Ah, e aggiungo che mi piacerebbe che - un domani - sulla mia lapide si legga: «È stata una brava persona».
Incontra tanti personaggi. Ce ne dice un paio che l'hanno colpita?
Non è facile. Certamente, di recente, l’incontro con re Carlo III d’Inghilterra che mi ha coinvolto nel suo “Progetto per l’Himalaya”, ho visto quanto grande e sincero sia il suo amore per il Creato. E il mio stimatissimo papa Francesco, che sta operando il bene in mille modi.
Cosa le piace di più e di meno dei tempi che stiamo vivendo?
Di meno non ho dubbi: la troppa connessione ad apparati digitali toglie serenità, monopolizza energie, mortifica la creatività e ci distrae da affetti e passioni. Quello che invece mi piace di più è che sento comunque una grande rinascita spirituale in atto, grazie alla quale sono sicuro che i giovani saranno delle sentinelle dell’umanità a venire.
Parla spesso di anima. Ma esiste un qualcosa che le “ruba” l’anima?
Sono fortunato perché riesco, anche grazie alla rilettura dei miei amati classici, a portare avanti quotidianamente un personale “esercizio spirituale”. Ho presente la profonda lezione di sant’Agostino: «L’anima non è tutto l’uomo, ma la sua parte migliore». Senza etica non può esserci sana economia, non può esserci nessuna azione dell’essere umano. Proprio però in quanto siamo portati a una qualche forma di spiritualità, mi piace pensare che i popoli alla lunga possano dialogare tra di loro su alcuni punti fermi. Che cominciano con la pace e proseguono con il rispetto delle scelte più umanamente sostenibili per tutti.