Padre Frans e il boom del commercio equo: «Comunità e diritti, uniti vinceremo»
La diffusione dei prodotti, ma soprattutto dei principi, del commercio equo e solidale è stata notevolmente favorita, in Italia, dall’appoggio concreto (e, per lunghi anni, entusiasta) del mondo missionario. Mentre in varie zone del mondo alcuni missionari si coinvolgevano in prima persona nell’organizzare cooperative (tre nomi su tutti: padre Graziano Mason, a lungo presidente di Mcch in Ecuador, il saveriano Giovanni Abbiati in Bangladesh e padre Shay Cullen con la sua Preda, nelle Filippine), tutte le riviste legate ai vari istituti missionari raccontavano genesi e opportunità di questa forma di scambio economico alternativo.
Nel frattempo, in centinaia di parrocchie del Belpaese, schiere di volontari legati ad associazioni missionarie piccole e grandi hanno fatto conoscere agli italiani prodotti provenienti dal Sud del mondo attraverso canali che bypassavano i grossisti: quelli che in America Latina chiamano “coyotes”, appellativo che ben restituisce le logiche di disprezzo e sfruttamento contro le quali il commercio equo intendeva andare. Ieri come oggi. Con ogni probabilità, anche molti lettori di Avvenire hanno scoperto, in questo modo, l’esistenza di tante micro-cooperative di lavoratori e lavoratrici del Sudamerica, dell’Africa o dell’Asia che, nell’arco di decenni, hanno dato vita a una vera e propria rete di economia civile, più rispettosa dei diritti delle persone, delle comunità e dell’ambiente. Ebbene. Se il commercio solidale a un certo punto della sua storia ha compiuto un vero e proprio salto di qualità, lo deve a uno straordinario missionario olandese: Frans van der Hoff, morto il 13 febbraio scorso, all’età di 84 anni. A lui e a Nico Roozen si deve, infatti, l’intuizione, nel lontano 1988, di creare un marchio di qualità certificato che caratterizzasse i prodotti del fair trade.
Pochi anni dopo arrivò sul mercato il primo caffè certificato Max Havelaar. Successivamente sono stati certificati anche il miele, lo zucchero, la cioccolata, il tè, le banane, il succo di frutta, come pure il riso, l’ananas, il mango e alcuni prodotti di cotone. Il nome scelto per il marchio è tutt’altro che casuale, in quanto rimanda al protagonista dell’omonimo romanzo, Max Havelaar, capolavoro della letteratura dei Paesi Bassi (pubblicato in Italia da Iperborea): un ostinato e coraggioso funzionario attivo in Indonesia, a lungo colonia olandese, che lotta contro i soprusi dei potenti locali e la connivenza dell’amministrazione coloniale per rendere giustizia ai contadini. Ma chi è stato Frans van der Hoff, un prete che quanti hanno conosciuto ricordano sempre con i sandali ai piedi e la borsa di lana a tracolla? Nato nel 1939 nell’Olanda meridionale, fin da giovane è politicamente attivo nel movimento studentesco alla Radboud Universiteit, l’università cattolica di Nimega, dove si laurea in Economia politica. Poco dopo l’ordinazione sacerdotale (e dopo aver conseguito un dottorato in Teologia in Germania), nel 1970 padre Frans si trasferisce a Santiago del Cile per lavorare nei barrios come prete- operaio. Il colpo di Stato del 1973 lo costringe a scappare alla volta del Messico, dove, per un periodo, si arrangia a fare un po’ di tutto, dal venditore ambulante all’operaio.
Dalla periferia di Città del Messico si sposta poi a Tehuantepec, piccolo centro agricolo nel sud, dove metterà finalmente radici. Lì, a contatto con gli indigeni zapotechi e mixtechi, il prete-contadino tocca con mano la miseria dei produttori locali di caffè. Ed è per questo che lo troviamo in prima fila, nel 1981, nella costruzione di Uciri, una cooperativa di piccoli produttori di caffè che puntavano a sganciarsi dagli intermediari locali. Perché, come spiegava van der Hoff, «la mappa della povertà coincide in Messico con la mappa della coltivazione del caffè, con la mappa della resistenza e delle proteste campesine nel paese». Due anni dopo, Altromercato per prima importerà questo caffè, che sulla confezione riporta il motto della cooperativa: «Uniti vinceremo». Nel 1985, alla stazione di Utrecht, l’incontro decisivo con Nico Roozen, responsabile dei progetti di sviluppo di una ong spagnola, Solidaridad.
Dalla collaborazione tra i due nasce, come detto, la prima certificazione di commercio equo. Nel 2003 da Feltrinelli esce il racconto di quei formidabili anni: Max Havelaar. L'avventura del commercio equo e solidale, a firma di Roozen e van der Hoff. A quest’ultimo si devono altri testi preziosi, come Faremo migliore il mondo. Idea e storia del commercio equo e solidale (Mondadori, 2005) e Manifesto dei poveri. Il commercio equo e solidale per non morire di capitalismo (Il Margine, 2012). In quest’ultimo il prete-contadino confida, a proposito dei “suoi” indios: « Benché io abbia conseguito nella mia vita più di un dottorato in materie scientifiche, ho imparato molto dal loro buon senso e dalla loro esperienza: la capacità di esplorare nuovi percorsi, di protestare e contemporaneamente di avanzare proposte».