Imprese. Loison, com'è slow il panettone: «Così difendiamo la biodiversità»
Quando l’entomologo Edward O. Wilson pronunciò per la prima volta la parola “biodiversità”, Dario Loison bazzicava già il forno di famiglia. Era il 1986, da lì a pochi anni sarebbe nata Slow food. Sempre con l’artigiano vicentino in prima fila: la sua è la tessera a vita numero 28 dell’associazione che promuove il cibo «buono, pulito e giusto». Ma soprattutto, Loison, come altri, è riuscito a portare i valori slow nel mercato “vero”: botteghe del gusto ma anche supermercati, stazioni ed aeroporti, vetrine della Quinta Strada e negozietti azeri. Il successo dei lievitati vicentini sta nei numeri: 13 milioni di euro il fatturato, oltre 65% le esportazioni in 70 Paesi, 30 dipendenti che raddoppiano da agosto a dicembre…
La Dolciaria Loison di Costabissara esiste dal 1908. Dario ne è titolare dal 1992 e da quell'anno le imprime una forte spinta investendo nella qualità degli ingredienti dei dolci delle feste, nel packaging progettato dalla moglie Sonia e nel digitale con cui colloca ovunque i propri prodotti, oltre naturalmente a una clientela gourmet diretta che ormai copre tutto il mondo. Ma quel che distingue l'azienda è l’anima di questo business, profondamente innervato dai valori di Slow Food che, grazie al successo di panettoni e colombe, trasporta sui grandi mercati.
Dario va sempre in giro con la chiocciolina sul bavero. «Ne vado fiero – ci racconta – ma è stato soprattutto un incontro sentimentale. Cioè credevo e credo nella biodiversità e nella tradizione, nei territori e nella cultura dei popoli e quando mi hanno chiesto di sostenere dei presidi non mi è pesato farlo». Con Carlin Petrini e i suoi ragazzi è nato un sodalizio spontaneo. Merito di un altro veneto, Enrico Azzolin, con cui Loison ha organizzato per anni degustazioni in tutte le “condotte” Slow Food delle tre Venezie.
Fu proprio Azzolin a portare Silvio Barbero, segretario dell’organizzazione, a Costabissara. Da allora, i panettoni Loison sono arrivati sugli scaffali Eataly perché erano slow, ma in molti altri casi è la chiocciola che ha attraversato il mondo a bordo dei dolci vicentini. E con il logo di Slow food, Loison ha reso globali produzioni di nicchia come il mandarino tardivo di Ciaculli o il chinotto di Savona. Presidi, Dop, Aop: questo artigiano ha un’autentica fissazione per la materia prima ben prodotta e non si approvvigiona soltanto di prodotti slow, ma gli ingredienti lenti sono la prima scelta. Quanto sia importante diffondere questa scelta nell’industria agroalimentare è la stessa Slow Food a spiegarlo e lo fa così: «Secondo la Fao il 75% delle varietà vegetali è perso, irrimediabilmente. Per questo Slow Food porta avanti progetti a tutela della biodiversità».
Imprese come la Dolciaria Loison fanno in modo che i prodotti tesaurizzati nell’Arca del Gusto, spesso coltivati in orti famigliari, entrino nel consumo di massa. Lo fa acquistando dai piccoli produttori la materia prima per le proprie produzioni anche quando costa di più: «Nel caso del pistacchio di Bronte Dop – già presidio Slow food – il prezzo è il doppio di un similare» conferma l’artigiano.
La storia di Slow Food coincide con quella delle piccole e piccolissime aziende che in tutti gli angoli del mondo sono riuscite a diventare un presidio, una qualifica che individua una comunità di produttori che si ispira alla filosofia Slow Food, un prodotto tradizionale, un territorio e un patrimonio di cultura e saperi: «I Presìdi – chiarisce l'organizzazione fondata da Petrini – sono espressione delle culture e degli ecosistemi più diversi: dalle Alpi alle foreste tropicali, dalle piccole isole ai contesti periurbani. Traducono la filosofia Slow Food in pratica quotidiana: seguono i principi dell’agroecologia, rispettano il suolo, l’acqua, il benessere animale, la biodiversità (da quella invisibile, della microflora, a quella culturale, dei saperi e delle tecniche), preservano i paesaggi agricoli tradizionali, riducono al minimo l’impatto ambientale delle loro produzioni, evitano l’uso di pesticidi, antibiotici, conservanti, additivi, coloranti, affiancano ai prodotti etichette dettagliate, che raccontano ogni fase della produzione».
È importante però che questi valori siano riconosciuti dall’industria e dalla distribuzione. Che, ad esempio, nei dolci di Costabissara venduti in tutto il mondo e in alcuni supermercati italiani, si trovi il Mandarino Tardivo di Ciaculli, la Vaniglia Mananara del Madagascar, il Chinotto di Savona, il Pistacchio di Bronte… «Mi avevano chiesto un aiuto per sviluppare il Tardivo; era penalizzato dal fatto di avere molti semini, che lo rendevano meno competitivo sul mercato della frutta fresca» spiega l’imprenditore che ha lavorato sulla canditura per annullare i fastidiosi semi. Oggi ne utilizza 40 quintali all’anno. E quando non se ne raccoglie? «Dobbiamo cambiare ricetta al panettone» è la risposta. Perché produrre slow ha i suoi limiti.
Più semplice, ma neanche tanto, approvvigionarsi dai produttori di vaniglia del Madagascar: le bacche arrivano dalla zona settentrionale del Paese, la più povera. Anche il Chinotto di Savona viene fornito da microproduttori e risente pertanto della discontinuità del raccolto: «Sarebbe più semplice ricorrere a commodities, ma cesserebbe lo scopo di fare dolci etici oltre che buoni» è la spiegazione dell’azienda vicentina. Che, se non scegliesse fornitori slow, potrebbe vendere i propri panettoni a un prezzo inferiore del 15%. Anche l'etica ha un prezzo di mercato.