Territori e bene comune. Le cooperative di comunità antidoto efficace allo spopolamento
Sorrisi e lavoro manuale per un gruppo di giovani donne della cooperativa “Pollaio Aperto” di Valle del San Lorenzo in provincia di Imperia
Con le cooperative di comunità la cooperazione fa un salto evolutivo ampliando il suo orizzonte per curare, oltre alla fragilità delle persone, quella dei territori. Piccoli borghi, frazioni disabitate ma anche quartieri periferici delle grandi città sono il terreno in cui queste realtà hanno messo radici. Le prime esperienze risalgono a più di trent’anni fa, ma la loro diffusione è cresciuta negli ultimi anni perché il tema della prossimità e della rivitalizzazione delle aree interne è diventato centrale durante la pandemia. In queste cooperative i cittadini sono al tempo stesso produttori e fruitori di beni e servizi, che si tratti di un cibo tipico o di una navetta per le scuole. Un’alchimia delicata che si regge sulla voglia di produrre una ricchezza, non solo economica, che “resti in casa”. Il debutto ufficiale è stato a Succiso, piccolo comune sull’Appennino tosco-emiliano. Colpito prima dalle frane e poi dallo spopolamento, il paesino non si è arreso alla chiusura dell’ultimo bar. E 32 anni fa ha invertito la rotta grazie alla forza di volontà di quattro giovani. Oggi la comunità “La valle dei Cavalieri” gestisce un agriturismo, un ristorante, un allevamento con vendita di pecorino Dop e le visite del parco regionale Il Gigante. Ma ha anche acquistato un pulmino per il trasporto scolastico e la consegna a domicilio di medicinali agli anziani.
Ogni cooperativa è unica e inimitabile per dimensioni, obiettivi e attività. Al momento in Italia, in base alla mappatura fatta da Aiccon, le realtà avviate sono 250. Nove su dieci si trovano nelle aree interne. Non esiste una tipologia specifica: sono realtà con diverse forme giuridiche (di lavoro, di utenza, sociale, mista, ecc) che si occupano di attività differenti (turismo, welfare, cultura, agricoltura). A contraddistinguerle è la finalità, vale a dire la valorizzazione di un territorio, coniugando cittadinanza attiva, sussidiarietà, gestione dei beni comuni e solidarietà. Sono già 16 le Regioni che hanno leggi specifiche, mentre manca un quadro normativo nazionale che renderebbe più efficiente l’operatività. «Al legislatore chiediamo un quadro normativo certo con regole che sappiano sostenere la nascita e la crescita di queste nuove esperienze cooperative, uno dei pochi argini al rischio dell’abbandono dei territori» sottolinea Maurizio Gardini, presidente Confcooperative. «Dove non arrivano il mercato e lo Stato c’è un vuoto concettuale che deve essere gestito – spiega Massimiliano Monetti, responsabile per le cooperative di comunità di Confcooperative –. La differenza fondamentale con gli altri tipi di cooperative è che quella di comunità non ha una sola dimensione ma lavora in diversi ambiti. Ci sono già numerose leggi regionali ma spesso sono discordanti l’una dall’altra, per questo serve dare ordine con una normativa nazionale».
Le cooperative sono imprese perché fanno azioni economiche: creano ricchezza e posti di lavoro. Si occupano anche di rinnovabili, tema più che mai attuale. Le comunità energetiche infatti sono un esempio di cooperativa di comunità. Sono innovative e flessibili perché si adattano al contesto e al cambiare dei bisogni dei soci-cittadini. «Negli anni ’80 nacquero le cooperative sociali per colmare un vuoto del welfare e soltanto in un secondo momento ci fu una legge, adesso sta succedendo la stessa cosa con le cooperative di comunità – aggiunge Monetti – : nascono spontaneamente dalla messa in rete dei soggetti che operano nei territori come le parrocchie, le Pro-loco, gli stessi Comuni». Il loro ruolo è fondamentale per la messa a terra dei finanziamenti del Pnrr perché le azioni economiche non possono essere fatte direttamente dai sindaci ma c’è bisogno appunto di un soggetto terzo. Nel piano nazionale di ripresa e resilienza oltre un miliardo è destinato all’attrattività dei piccoli borghi: 310 paesi con meno di 5mila abitanti sono beneficiari di finanziamenti per progetti di rigenerazione culturale e sociale. Di questi, 21, uno per ogni regione, sono stati selezionati come progetti pilota, con finanziamenti da 20 milioni di euro per sperimentare modelli innovativi di riattivazione del territorio.
Nel Lazio il progetto riguarda la frazione di Trevinano, del Comune di Acquapendente in provincia di Viterbo, che ha come partner, tra gli altri, Legacoop. «La cooperativa di comunità è stata indicata in questo caso come il braccio operativo per realizzare il progetto di valorizzazione del borgo che fa capo all’amministrazione comunale: è nata per coniugare i bisogni sociali della comunità con i filoni di sviluppo individuati », spiega Nina Però, Vice President della società di consulenza Pts s.p.a. che supporta il Comune nella attuazione del progetto. Secondo Però «le difficoltà maggiori sono state riscontrate nell’individuazione dei soci lavoratori; se l’adesione da parte dei cittadini come soci sostenitori è forte, maggiore cautela è stata osservata nella partecipazione attiva al progetto imprenditoriale alla base della cooperativa. La cooperativa lavorerà su un mix di servizi per la comunità locale (mobilità, presidi socio-assistenziali e di prima necessità) e per i turisti e le persone coinvolte nella scuola di formazione che verrà creata. Simbolo della cooperativa di comunità, la Trattoria locale che sta affrontando il tema del ricambio generazionale e che alla funzione ristorativa aggiungerà quella di emporio e luogo di aggregazione per gli abitanti, nonché spazio di prima accoglienza per i clienti di albergo diffuso e foresteria».
«Questo tipo di cooperative sono un esempio di sussidiarietà orizzontale, uno strumento ideale per la gestione dei beni comuni. Sono multifunzionali perché svolgono attività anche molto differenti tra di loro» sottolinea Paolo Scaramuccia, responsabile delle cooperative di comunità per Legacoop. Al momento sono un centinaio quelle di Legacoop, che nel 2019 ha avviato la campagna “Ri-generiamo” per la raccolta di fondi. « In alcune regioni come Toscana ed Emilia Romagna ci sono leggi molto strutturate, in altre si fa solo un accenno – continua Scaramuccia –. Nel Sud Italia sono stati avviati progetti di accoglienza dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, che hanno avuto ottimi risultati nella lotta allo spopolamento». È il caso di Petruro Irpino, meno di 300 abitanti, dove l’arrivo di famiglie siriane con bambini piccoli ha portato una ventata di gioia e della cooperativa di comunità “Tralci di vite” a Chianche, in provincia di Avellino, terra del Greco di Tufo, dove sono stati i ragazzi stranieri a raccogliere dagli anziani l’eredità di un mestiere antico come quello della potatura. «Qui grazie alla presenza di giovani immigrati l’unico negozio del paese è rimasto aperto. Durante la pandemia erano loro a fare le consegne agli anziani e a vigilare sulla loro salute».
Nelle città il problema è quello di far nascere un senso di comunità. « In città i servizi non mancano, semmai sono di scarsa qualità – spiega Scaramuccia –. Abbiamo visto che la comunità si riconosce in un bene “da salvare”: un cinema a Perugia, un’edicola a Bologna, una piazza a Genova». Impegnata nelle periferie anche Confcooperative. A Catania ha sostenuto “ Trame di quartiere” la cooperativa di comunità di San Berillo che è impegnata nel recupero di spazi abbandonati, utilizzati per attività culturali, sociali ed economiche. Trasformare la marginalità in un punto di forza è l’obiettivo della strategia fatta portata avanti tramite FondoSviluppo, il fondo mutualistico che negli ultimi tre anni ha consentito la costituzione di 80 cooperative di comunità, che si sono aggiunte alle 40 già attive. Tra le altre “Viso a viso” di Ostana, in provincia di Cuneo, che punta alla promozione della montagna con interventi di rigenerazione culturale e “Filo&Fibra”, cooperativa femminile di S. Casciano dei Bagni (Siena) che combatte lo spopolamento con un laboratorio sartoriale e campi estivi per i bambini.