Inclusione. Quando il lavoro è la nuova patria dei rifugiati in Europa
"Da piccola volevo fare il meccanico". D. ha superato molti ostacoli burocratici e culturali, ma ce l’ha fatta grazie alle nuove opportunità che vengono concesse dalle imprese ai rifugiati. Ha 23 anni ed è bosniaca ed è in Italia con un permesso umanitario. Aveva già avuto diverse esperienze di lavoro nell’ambito della ristorazione. Ma la pandemia ha messo in crisi il settore e lei ha deciso di rimettersi in gioco scommettendo sulla passione per la riparazione dei veicoli a motore nata da bambina, vedendo lavorare il padre nell’officina di famiglia. Temeva di avere meno possibilità in quanto donna. Invece è stata selezionata dalla scuola di formazione e ha superato il colloquio presso un’importante officina di Milano dove ha iniziato il tirocinio. Da anni le aziende transnazionali hanno capito le potenzialità dei rifugiati per le loro competenze, le conoscenze e la resilienza. In Europa fu il 2015, con l’arrivo di oltre un milione di siriani sulla rotta balcanica e gli anni immediatamente successivi che detengono il record degli sbarchi nel Mediterraneo a riportare la questione alla ribalta.
Cosa succedeva poi a chi aveva diritto di rimanere? Generali, attraverso la fondazione Human Safety Net è una delle realtà profit europee che, insieme a Unhcr, governi e Terzo settore, si è impegnata a formare e avviare al lavoro centinaia di rifugiati in Italia, Svizzera, Francia e Germania. «Avevamo deciso di intervenire dopo aver lanciato un sondaggio interno tra i dipendenti – spiega Emma Ursich, segretario generale di Human Safety Net – non era giusto che i rifugiati fossero considerati un peso e le loro capacità venissero sprecate, occorreva superare l’emergenza». L’esperienza si inserisce in un’alleanza globale tra imprese avviata dalla fondazione "The tent" del profugo e imprenditore afgano Hamdi Hulukaya. «Il canale migliore è l’inclusione attraverso il lavoro – prosegue Emma Ursich – in particolare con l’imprenditorialità. Cose semplici, creare attività per coprire esigenze di quartiere con le proprie competenze. Abbiamo creato così in tre anni 200 startup nei quattro Paesi». Il ruolo del Terzo settore è fondamentale per individuare i beneficiari e sostenerli. Come Hassane, segnalato dalla Caritas Ambrosiana, che dopo aver perso il lavoro viveva in strada. Per continuare ad aiutare la famiglia in Guinea Bissau ha frequentato un corso di formazione professionalizzante di Human Safety Net. Al termine ha dovuto superare con il supporto della Caritas alcuni problemi burocratici con la questura per rinnovare il permesso di protezione sussidiaria. Nell’agosto 2020 finalmente, ha ottenuto un contratto in un magazzino, ma la sua carta di identità scaduta non gli permetteva di aprire un conto corrente. Grazie alla rete di servizi, a fine anno aveva i documenti personali rinnovati. Il suo contratto di lavoro è diventato annuale e oggi condivide con un collega un appartamento in affitto. In tutto sono state avviate 1.147 persone ai corsi, circa 300 sono state sostenute. In Italia con il programma con la Croce Rossa Italiana – vincitore del premio We Welcome dell’Unhcr per l’integrazione nel 2020 – oltre 60 hanno trovato lavoro nel 2020. Altri partner sono Jobel, in Liguria che forma e cura l’inserimento e l’integrazione in realtà agricole del territorio di 50 beneficiari di protezione internazionale o richiedenti asilo. E Cometa, nel comasco con un progetto su accoglienza, formazione e lavoro per famiglie, minori e giovani migranti.
I partner di Human safety net sono riusciti a registrare 109 imprese solo nel 2020, per un totale di 210 da inizio programma mentre 120 rifugiati hanno trovato un impiego grazie al programma per le startup di rifugiati. Il Covid ha cambiato le cose? «Sì – risponde Ursich – in collaborazione con Dell e fondazione Accenture dall’anno scorso abbiamo portato online le iniziative di formazione. Rimarrà in futuro un servizio misto che aiuta le esigenze di tutti».
Fondamentale l’impegno dei dipendenti volontari che si prestano a insegnare le lingue, preparano i business plan e seguono i settori specifici. E il futuro? Per affrontare i mutamenti da pandemia in Francia e Germania nel 2020 Human Safety Net ha lanciato "Scale-Up Impact", modello innovativo che prevede collaborazione con governi e Ong. Una delle quali è Singa, che offre un programma per l’innovazione a Lione, Nantes, Lille, Strasburgo e Berlino per raggiungere oltre 400 neo imprenditori rifugiati in Francia e Germania. Il programma consente l’inclusione attraverso gruppi online di rifugiati, migranti e gente del posto e utilizza la diversità culturale per risolvere le difficoltà imprenditoriali e fare da incubatore di nuove imprese. Carlos Arbelaez ad esempio insieme a due colleghi ha fondato Populaire, marchio di caffè del commercio equo e solidale tostato a mano a Parigi. «Con il lockdown abbiamo perso quasi il 90% dei nostri ordini. Così abbiamo iniziato a consegnare il nostro caffé a domicilio in tutta Parigi in bicicletta. Con il nostro progetto ci siamo posti l’obiettivo di favorire i produttori in Colombi, di favorire i rifugiati in Francia formandoli come baristi e infine comunicare ai clienti che i loro acquisti hanno un impatto sulla comunità. Abbiamo partecipato all’incubatore, ho visto un gran numero di imprenditori, rifugiati e francesi, adattarsi e reinventarsi come noi in questa situazione difficile». Dal cuore d’Europa all’Italia, la collaborazione tra imprese, Ong Unhcr e governi offre la netta sensazione che il dopo possa essere un’occasione per cambiare la narrativa sull’immigrazione.