Internet. La sfida dell’ecologia e del digitale per far fiorire una nuova spiritualità
Già nel 2018, l’industria digitale mondiale consumava tre volte tanto quella di un Paese grande come la Francia
Di fronte alle travolgenti trasformazioni del nostro tempo, il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman coniò la fortunata formula della «società liquida». La nostra, ammoniva lo studioso polacco, è un’epoca di dissolvenze: le strutture sociali, le appartenenze, i confini, tutto è in divenire, fluido, aperto, incerto, informe, instabile, suscettibile di mutamenti. Un’altra (inflazionata) metafora sta, però, affermandosi con prepotenza, soppiantando l’altra, non più liquida, ma “gassosa”. È quella del cloud, concetto cardine dell’economia del digitale. La nuvola (cloud) suggerisce qualcosa di etereo, gassoso appunto, naturale e green. Niente di più falso. La digitalizzazione ha, invece, un volto ambiguo, meduseo. Ne è convinto Fabio Pasqualetti, professore ordinario di Teorie sociali della comunicazione presso l’Università Pontificia Salesiana. «La stragrande maggioranza delle gente – scrive in Ecologia, digitale, spiritualità. Un rapporto complesso e problematico (Castelvecchi, pag. 96, euro 15) – quando pensa a Internet si immagina qualcosa di leggero, che non inquina, l’unico consumo tangibile è la ricarica della batteria del cellulare, ma tutto ciò che si fa con il cellulare non è avvertito né come consumo, né come inquinamento.
Contrariamente a quanto percepito, l’inquinamento non è solo colossale, ma anche in rapido sviluppo. Già nel 2018, l’industria digitale mondiale consumava tre volte tanto quella di un Paese grande come la Francia. Un consumo pari al 10% dell’elettricità prodotta al mondo e una produzione del 4% delle emissioni globali di CO2».
Dietro la matericità dell’economia basata sul cloud si annida poi un’altra minaccia: l’ingegnerizzazione delle nostre vite. Ogni comportamento è catturato, profilato, trasformato in dato. Una raccolta tutt’altro che “innocente”: alla base dell’economia digitale c’è la pretesa di prescrivere l’agire umano, a cominciare dalle abitudini di consumo. Una cattura potenzialmente infinita, a cui rischia di doversi assoggettare ogni aspetto dell’esistenza. Emblematico è il caso delle cosiddette “bolle”: sorta di spazio autoreferenziale in cui il soggetto non si trova di fronte all’Altro – altri pensieri, altre tendenze, altro modo di pensare – ma alla replica di se stesso. Scrive Pasqualetti: «Il tracciamento sistematico dei nostri dati da parte delle multinazionali del digitale ha permesso loro di accumulare, raccogliere, analizzare, profilare e quindi vendere i nostri dati a parti terze per il marketing personalizzato». È un processo di «mercificazione» pervasivo e tentacolare, nel quale rischia di rimanere intrappolata tutta la nostra esistenza. «Nella società del calcolo tutto viene misurato e valutato e ognuno oggi conta e vale proprio in quanto “dato”». Così come l’ambiente risulta assediato e attentato da un uso predatorio delle risorse e da un utilizzo pervasivo della tecnologia, allo stesso modo anche l’infosfera – il mondo virtuale e parallelo in cui ormai tutti quotidianamente viviamo – è “corrotto” da quello che l’autore definisce il «progressivo inquinamento informativo». Come annota l’autore, è stato «bypassato completamente il classico modello comunicativo piramidale tipico di tutte le precedenti forme di comunicazione»: al suo posto è subentrato «un sistema acentrico, orizzontale con un flusso comunicativo “tutto a tutti” bidirezionale».
La doppia sfida dell’inquinamento, ecologico e informativo, chiama a una nuova spiritualità. Di fronte alla rapidità dei cambiamenti e alla loro perentorietà, quali energie, quali rilanci è necessario mettere in atto? Quale custodia è necessaria perché il nostro ambiente – fisico e virtuale – sia riparato dai veleni e depurato dalle scorie che lo insidiano? La riflessione di Pasqualetti invita a puntare proprio su uno degli elementi costitutivi, originari, di forza della rete: l’interconnessione. Proprio Internet, paradossalmente, può restituisci un’immagine del cosmo – quel cosmo inconcluso, perennemente animato da ricollocare al centro di una rinnovata “spiritualità del creato” – come «un organismo vivente che ci nutre e ci interpella».
«Sull’orlo dell’abisso – scrive Pasqualetti – di una apocalisse ambientale e climatica e di un rischio di guerra nucleare in aumento solo una nuova spiritualità può aprire porte di speranza, ma una spiritualità che sappia ridare a Dio la sua assoluta indipendenza da ogni tentativo di manipolazione e restituisca all’uomo la coscienza di una appartenenza a tutto il cosmo, a partire da questa madre terra in cui viviamo in comunione con tutti gli esseri viventi presenti, fino alle galassie più lontane». Una stilistica dell’esistenza che dal possesso ci traghetti alla cura, «dall’essere predatori a essere custodi del creato».