Ambiente. La natura vince in tribunale: un fiume inquinato può essere risarcito
Anche il fiume ecuadoriano Machángara ha i suoi diritti. La sentenza è arrivata lo scorso luglio in seguito a un’azione di tutela presentata da tre cittadini e tre avvocati, che denunciavano un altissimo livello di contaminazione del fiume che attraversa la capitale ecuadoriana Quito, tale da violare i suoi diritti. Non solo il fiume stesso è stato considerato una vittima, ma anche i 54 torrenti e ruscelli che confluiscono nel Machángara, così come sono state identificate vittime indirette le persone che vivono nella zona e le piante e gli animali che dipendevano dal fiume.
Il tribunale ha dichiarato che il Comune di Quito è «responsabile delle violazioni dei diritti del fiume Machángara» e ha ordinato l’implementazione immediata di un piano di decontaminazione.
Non è certo il primo caso, anzi fu proprio l’Ecuador a dare il via a questo tipo di riconoscimenti, diventando nel 2008 il primo Stato al mondo a includere nella Costituzione i diritti inalienabili della natura. Successivamente hanno intrapreso la stessa strada altri Paesi latinoamericani come Bolivia, Messico e Colombia. In altre parti del mondo invece sono state emanate delle leggi appositamente per i fiumi. La Nuova Zelanda, ad esempio, ha deciso di accordare al fiume Whanganui, sacro al popolo Maori, e ai suoi affluenti lo status di persona giuridica. Ad oggi, secondo l’Earth Law Center, sono più di 35 i Paesi nel mondo che hanno riconosciuto in qualche forma i diritti della natura nei loro sistemi normativi.
La visione ecologica che sta alla base di questo principio ha profondamente rivoluzionato il tradizionale rapporto antropocentrico tra l’uomo e la natura. È un cambiamento globale che si basa su presupposti filosofici ancora prima che giuridici. Eduardo Parisi, ricercatore in Diritto amministrativo e titolare di incarichi di insegnamento in diritto dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, spiega che il rapporto dell’uomo con la natura è sempre stato dominato da una visione utilitaristica: utilizziamo la natura perché ci serve. Tuttavia, questa visione è messa in discussione da un nuovo paradigma: «Il riconoscimento di diritti in capo alla natura secondo la prospettiva ecologica vorrebbe dare una voce propria e non mediata dall’uomo a un qualche cosa che è inanimato e che da solo non si può proteggere», afferma Parisi.
Nel caso del Machángara, l’azione legale è stata promossa da una comunità indigena, i Kitu Kara, che ha visto la propria vita deteriorarsi a causa dell’inquinamento del fiume. Il tribunale ha riconosciuto il legame profondo tra questa comunità e l’ecosistema fluviale, attribuendo loro il diritto di rappresentare il fiume davanti alla legge. In altri Paesi, come la Nuova Zelanda, le leggi che riconoscono i diritti dei fiumi prevedono l’istituzione di rappresentanti legali.
Nel caso del Whanganui, ad esempio, sono stati nominati due portavoce: uno scelto dal governo e l’altro dalla comunità Maori. In Ecuador, invece, non esiste una figura formale che rappresenti la natura in tribunale. Tuttavia, chi intende portare avanti un’azione legale per conto di un ecosistema deve dimostrare di avere un interesse diretto o indiretto, come nel caso della comunità indigena che vive lungo il Machángara.
In Italia, il riconoscimento giuridico dei diritti della natura resta una sfida complessa. «La prospettiva ecologica – afferma Parisi – può venir fuori, e sta venendo fuori, in determinate situazioni locali. Penso, per esempio, a esperienze di cogestione in cui nella ricognizione di interessi particolari attorno a determinate categorie emerge la presenza di un ecosistema vero e proprio. Mi vengono in mente i contratti di fiume che sono effettivamente degli esempi di partenariato pubblico-privato che mettono il fiume al centro, e considerano il benessere del fiume come benessere sociale». Continua Parisi: «Un altro esempio è la prospettiva dell’ecological restoration che si sta promuovendo a livello dell’Unione Europea e che ha come focus il ripristino di ecostistemi, nel senso di interventi che diano la capacità agli ecosistemi di rigenerarsi e di prosperare in maniera equilibrata con l’essere umano».
Attualmente, però, l’ordinamento giuridico italiano non prevede il riconoscimento della natura come soggetto di diritto autonomo, essendo ancora fortemente radicato in una visione antropocentrica. L’avvocato Luca Saltalamacchia, esperto di tutela dei diritti umani e ambientali, sottolinea che, persino nelle leggi contro il maltrattamento degli animali, i diritti non siano riconosciuti agli animali in quanto tali, ma piuttosto per evitare di offendere la sensibilità umana. «In Italia, un riconoscimento giuridico della natura richiederebbe una profonda revisione delle leggi esistenti», spiega Saltalamacchia. Il fatto che azioni per proteggere la natura si stiano moltiplicando in alcune parti del mondo e non in altre dipende fortemente dalle tradizioni giuridiche, culturali e spirituali dei vari Paesi. In Ecuador e Bolivia, ad esempio, la natura è riconosciuta come soggetto di diritto nella costituzione, il che facilita l’adozione di leggi ambientali più radicali.
Al contrario, in altri sistemi giuridici come quello italiano, il soggetto giuridico è sempre e solo l’essere umano. Un cambiamento è arrivato nel 2022, quando la Costituzione è stata modificata per introdurre la tutela delle future generazioni e dell’ambiente. «Ci sono delle aperture: il diritto delle future generazioni fino a qualche anno fa non solo non esisteva, ma non lo si sarebbe neanche potuto pensare», fa notare Saltalamacchia. «Credo che si possa ipotizzare che primo o poi ci saranno delle riforme tali da poter riconoscere anche nel nostro ordinamento i diritti della natura perché quando un determinato valore diventa “generale” c’è spazio per cambiare».
Il pensiero dell’avvocato Saltalamacchia va al cambiamento climatico. Sta lavorando al deposito dell’atto di appello per la causa sul clima, la prima contro lo Stato italiano, che ha lanciato nel 2021 come membro di “Giudizio Universale”. Causa che il Tribunale ha giudicato inammissibile per difetto di giurisdizione: nel nostro Paese, al contrario di quanto accade in altri Stati europei, non esisterebbero infatti tribunali in grado di esprimere un verdetto su questo tema. «Quando sempre più persone muoiono a causa del cambiamento climatico, come si fa a dire che non c’è un diritto da parte delle popolazioni mondiali a pretendere che non si alteri più il clima?».