Intervista. Turismo, «C’è un modello Italia tra enogastronomia e autenticità»
Nei prossimi anni, litorali sovraffollati e spreco alimentare resteranno i simboli controversi del turismo globale ancora in espansione? Fra le alternative possibili, c’è pure quella che passa per la valorizzazione del cibo e del vino di qualità, visti sempre più come vettori di un turismo virtuoso, con un occhio anche a quanto l’Italia ha già saputo fare di azzeccato in questo campo. A pensarlo è pure Zurab Pololikashvili, segretario generale di UN Tourism, l’agenzia internazionale che promuove lo sviluppo sostenibile del turismo planetario: «Fra le nuove opportunità, vi è l’inclusione di comunità rurali in progetti di turismo enogastronomico volti anche a preservare l’autenticità di certe destinazioni segnate da queste produzioni, così da evitare pure una perdita d’identità», ci dice l’ex ministro georgiano, che abbiamo incontrato ad Erevan, in occasione dell’8a Conferenza globale Onu dedicata in particolare al turismo enologico, ospitata dal ministero armeno dell’Economia.
Fra le sfide del turismo, una delle più importanti ruota attorno a ciò che mangiamo e beviamo?
Lo spreco di cibo nell’industria dell’ospitalità è una sfida che può essere affrontata, in modo diretto, attraverso una combinazione d’interventi tecnologici, misure accurate, adattamenti legislativi, democrazia partecipativa. Si deve certamente investire pure nell’educazione, così da accrescere la consapevolezza. Ma al contempo, si promuove un turismo responsabile anche valorizzando dei piccoli produttori integrati nella catena di valore turistica. In questo senso, nei nostri ultimi forum, abbiamo dato spazio anche allo studio d’iniziative come quelle nate attorno al movimento “Slow Food”.
In proposito, l’orientamento preso in Italia da buona parte del turismo enogastronomico, centrato su realtà a misura d’uomo, può divenire un modello duraturo da seguire?
L’approccio italiano al turismo enogastronomico è esemplare. I turisti di oggi ricercano in modo crescente delle esperienze più autentiche, legate ad esempio ai saperi locali o alla storia. Dunque, delle piccole strutture possono offrire esperienze in linea con questa tendenza di fondo. Questi piccoli operatori hanno pure un alto potenziale per un impatto positivo sulle comunità locali, rafforzando il senso d’inclusione della gente attraverso il lavoro, sostenendo le produzioni locali e promuovendo un’economia di tipo circolare. Ma attenzione, ciò sottende sempre la sfida della preservazione della giusta scala di grandezza. In altri termini, occorre mantenere sempre una spiccata qualità, anche quando si lavora sulle infrastrutture per rispondere a una richiesta turistica accresciuta. Ciò può generare difficoltà, soprattutto nelle aree più remote.
Su scala europea, si sta innovando secondo approcci sostenibili?
C’è un’innovazione interpretata tramite lo sviluppo di tecnologie moderne e nuovi prodotti, ma anche un’altra che torna alla tipicità tradizionale e a una creatività più rustica. Ad esempio, si sono moltiplicate esperienze digitali, compresi eventi di realtà virtuale, con una crescente attenzione della filiera anche ai social. Al contempo, c’è chi ha offerto ai consumatori esperienze centrate pure sulla promozione di pratiche sostenibili e di economia circolare, comprese quelle per ridurre lo spreco alimentare. Nell’insieme dell’Europa, dunque, cresce questo turismo diffuso fondato sulle esperienze, ad esempio presso fattorie di campagna, in modo da immergere il viaggiatore in una consapevolezza più piena delle diverse culture. Sempre più, inoltre, queste esperienze vengono associate ad iniziative legate alla salute e al benessere fisico.
Accogliendo un vertice Onu in materia, anche l’Armenia, sospesa fra Europa e Asia, ha mostrato di volersi diversificare. Che ne pensa?
È evidente la fierezza degli armeni per il proprio cibo, che svolge un ruolo centrale d’identità e per la cultura. Oggi, si sforzano di promuovere la propria ricca eredità culturale associandola all’offerta turistica enogastronomica, ottenendo così nuove note d’autenticità. La cultura armena enfatizza la condivisione del cibo, rafforzando così un senso di comunità e un’interpretazione calorosa dell’ospitalità. Pur essendo relativamente recente, il turismo legato al vino, in particolare, si sta sviluppando rapidamente nel Paese, parallelamente agli altri ingredienti del settore viticolo, come imprenditorialità, innovazione e formazione. La strategia armena sul turismo enologico è pure un buon esempio di cooperazione combinata fra attori diversi, come la Vine and Wine Foundation of Armenia e il ministero dell’Economia. Anche il patrimonio archeologico, come la grotta Areni-1, considerata come l’unità più antica di produzione del vino finora mai scoperta, sottolinea la tradizione vinicola nazionale, dimostrando la volontà di preservare un’eredità millenaria.
Sulla base di esempi come questo, il turismo enogastronomico può divenire in generale un volano per il turismo sostenibile del futuro?
Sì, ma a condizione di conservare un forte senso di responsabilità, continuando ad abbracciare in particolare l’intera catena di valore, fra produttori, ospitalità, vendita al dettaglio, altri attori del commercio. In termini di sostenibilità sociale, il turismo enogastronomico può corroborare lo sviluppo locale e il senso di comunità, incoraggiando i viaggiatori a visitare aree non urbane e creando un canale nuovo di introiti per i produttori locali. Inoltre, può emancipare donne e giovani, schiudendo nuove opportunità di lavoro, promuovendo ruoli guida in progetti locali, oppure offrendo formazioni per accrescere le competenze. Il turismo enogastronomico rafforza le economie locali sostenendo l’imprenditoria, creando connessioni dirette fra produttori e consumatori, potenziando la resilienza in caso di avversità. Inoltre, svolge un ruolo vitale preservando la cultura, anche attraverso ricette tradizionali trasmesse così in modo più sicuro fra le generazioni. È pure un fattore d’integrazione, attraverso il mutuo rispetto fra turisti e locali, favorendo inoltre gli scambi d’esperienze. In generale, poi, favorisce pure un consumo più sostenibile, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale e gli sprechi. In tal modo, può incoraggiare spesso anche la difesa di colture e vitigni autoctoni, o di tecniche artigianali ancestrali, anche di vinificazione e di organizzazione delle vigne. Per non parlare della legittima fierezza che tutto ciò può generare nella popolazione.
Ma intanto, solo per fare un esempio, un Paese come la Francia ha superato i 100 milioni di visitatori all’anno. L’espansione turistica di fondo può conciliarsi con la sostenibilità?
In molte destinazioni europee, si tornano a superare i livelli pre-pandemia. Questa forte ripresa riflette sia l’adattabilità del settore, sia l’appetito mondiale crescente per i viaggi. In molte destinazioni, dappertutto nel mondo, ciò ha avuto un impatto molto positivo, anche per via di un’accresciuta spesa media dei visitatori, secondo gli ultimi dati. Una volta ancora, il turismo ha mostrato di essere un motore per la ripresa socio-economica e un volano d’occupazione, nelle destinazioni classiche come in quelle emergenti. Ma è vero che uno sviluppo equilibrato del settore dipenderà da nuovi sforzi per ridurre l’impatto ambientale. Il turismo ha il potenziale per far decollare le comunità locali, assicurando in particolare una più equa distribuzione dei redditi. In questo, potranno aiutare ancor più dei modelli basati su un’offerta attorno ad esperienze autentiche e al benessere. In generale, creare dei prodotti turistici legati alla natura, alle aree rurali, alla gastronomia, al benessere aiuterà ad approdare a una maggiore diversificazione e, in molti casi, alla sostenibilità.