Imprese. La scelta di Ovs resta globale: sostenibilità e diritti non passano di moda
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C’è un gruppo italiano con sede a Venezia che da anni si è “incaponito” nell’usare prevalentemente una fibra naturale come il cotone in un mercato dominato sempre più dal poliestere. E questa coerenza – supportata dall’impegno per la trasparenza di ogni sua azione e da altre scelte ecologiste – gli è valsa per il terzo anno consecutivo il podio della sostenibilità. Ovs infatti ha di nuovo conquistato il primo posto tra 250 brand di retail e moda al mondo nel Fashion Transparency Index 2023. Il riconoscimento arriva dal Fashion Revolution, movimento globale fondato da una stilista britannica che incoraggia l'industria della moda verso un sistema più rispettoso dell'ambiente e dei diritti umani, in tutte le fasi del ciclo produttivo. Riconoscimento significativo, se si pensa che oggi il settore della moda contribuisce al 10% delle emissioni globali di gas serra e costituisce la seconda realtà industriale più inquinante per le acque.
Ovs è l’azienda leader dell’abbigliamento in Italia, un primato ottenuto anche con una politica dei prezzi «alla portata di tutti». Con la capacità – e l’abilità – di farsi strada con un messaggio che tenta di coniugare una “qualità” e una “sostenibilità” che siano accessibili anche a chi non sia abbiente. Un traguardo reso possibile da una serie di politiche e di investimenti «mirati ad integrare nella strategia business dell’azienda la sostenibilità, senza ridurla a dei progetti speciali, quelli sì, spesso inutili e costosi», come spiega Simone Colombo, responsabile Ovs della sostenibilità d’impresa. La scelta che tutte le altre si porta dietro è quella di puntare su un cotone totalmente sostenibile, che oramai è diventato il fiore all’occhiello dell’azienda; l’eliminazione dell’uso della plastica vergine; un piano di decarbonizzazione, una serie di iniziative per la tutela dei diritti dei lavoratori. Ultimo, ma altrettanto importante, è l’impegno alla tracciabilità di ogni passo della catena produttiva. Interventi che sul lungo termine permettono di abbattere gli extracosti, aumentare i volumi e al tempo stesso continuare la marcia verso la conversione green. L’indice di Fashion Revolution valuta il livello di trasparenza dei brand analizzando le informazioni disponibili sugli impatti ambientali, il rispetto dei diritti umani, le pratiche di acquisto e il monitoraggio delle attività produttive. Quest’anno Ovs è riuscita nuovamente a conquistare il primo posto in classifica ed ha anche migliorato la sua performance – passando dal 78% del 2022 all’83%. «La nostra forza sta nell’aver preso atto che quelle che erano azioni di buona condotta dovessero entrare nel core business dell’azienda e diventare strategiche», racconta Colombo, che spiega come questo percorso sia iniziato partendo dai materiali.
Primo tra tutti il cotone, alla base del 70% dei prodotti del Gruppo in un mercato mondiale, quello del tessile, in cui il poliestere domina i due terzi della produzione. Il problema del cotone però è che, anche se rinnovabile, non è sostenibile nelle tecniche di coltivazione convenzionale. Per produrlo, insomma, si genera un forte impatto sull’ambiente. Basti considerare che si tratta di una fibra che coinvolge meno del 3% della superficie agricola mondiale ma che è responsabile dell’uso dell’11% di pesticidi. Ecco perché Ovs si è posta subito un obiettivo importante raggiunto nel 2021: approvvigionarsi di solo cotone certificato bio o riciclato o coltivato secondo lo standard “better cotton”. Un criterio che rappresenta un’alternativa più ecologica in cui «si coltiva in maniera etica, si impiegano minori quantitativi di acqua, viene migliorata la qualità del terreno e si promuovono condizioni di lavoro migliori», si legge sul sito dell’azienda.
A questa scelta si affianca il sostegno che dal 2020 il Gruppo dà ad una impresa in Sicilia per la produzione di cotone bio nostrano e il finanziamento di un dottorato per sviluppare un protocollo per l’agricoltura rigenerativa della fibra naturale. «Altro passo decisivo – dice Colombo – è stato quello di definire un piano di decarbonizzazione approvato da Science Based Targets iniziative», organizzazione globale che certifica l’impegno delle aziende nella riduzione di CO2 con un approccio scientifico. Ovs ha tagliato così dal 2016 al 2019 le proprie emissioni dirette dell’85% e si impegna a realizzare un’ulteriore riduzione totale del 46% al 2030. Altrettanto virtuosa la strategia messa in campo per combattere l’inquinamento da plastica. Entrando in un negozio del Gruppo infatti il cliente sa che non toccherà plastica vergine, totalmente eliminata dal packaging espositivo e quasi interamente da quello logistico. Ma se il brand italiano si è seduto per la terza volta sul primo gradino del Fashion Transparency Index è anche per le sue politiche di tutela dei diritti umani. Impostazione significativa poiché parliamo di un colosso nella moda a basso costo che per produrre 170 milioni di capi (2022), dà lavoro a 8.000 impiegati. La sua catena di approvvigionamento coinvolge 600 fornitori, 100mila persone in 16 Paesi diversi, molti dei quali non eccellono di certo nella tutela dei diritti come il Bangladesh e il Myanmar.
«Per questo motivo il nostro processo di selezione dei fornitori è molto rigoroso – aggiunge Colombo – e passa attraverso una serie di step imprescindibili». Quali? Innanzitutto l’adesione alla piattaforma di misurazione Higg dove ogni fabbrica – in ottica di trasparenza – condivide con i brand le proprie prestazioni ambientali e sociali, e la sottoscrizione di un codice di condotta vincolante tradotto in lingua locale, affinché i lavoratori abbiano contezza delle proprie tutele. «In Myanmar inoltre è stata attivata una app sullo smartphone dei dipendenti che in forma anonima possono segnalare delle violazioni e dialogare con noi», conclude Colombo. La promessa, come sempre alla prova delle prossime verifiche, è quella di dispiegare il massimo impegno a medio e lungo termine per garantire condizioni di lavoro dignitose e forme di rappresentanza sindacale.