EconomiaCivile

Pubblicità civile. Il dissing ti mette le ali

Paolo Iabichino mercoledì 9 ottobre 2024

Sarebbero da ringraziare: per merito loro tantissime persone nelle ultime settimane hanno imparato il significato di una nuova parola. Non se ne sentiva la mancanza, ma fa sempre bene allargare il proprio bagaglio lessicale, anche di fronte a una semantica poco edificante: dissing è una crasi prelevata dal mondo hip hop americano, per definire le composizioni rap scritte per rivaleggiare con qualche artista che minaccia un primato in classifica e insultare a colpi di rima la produzione concorrente, per mancare di rispetto, disrespecting, appunto. L’unica differenza con i dissing nostrani è che al di là dell’oceano la scena rap ha radici che provengono dalla black music, con voci purissime anche senza le stampelle dell’autotune, una scrittura che sembra arrivare direttamente dalla beat generation e sonorità che non vengono da algoritmi predittivi, messi al lavoro per replicare i tormentoni più collaudati sulle piattaforme.

Per capirci, di là c’è Eminem e di qua ci tocca Fedez che risponde piccato a un certo Tony Effe, difficile che possiate ricordarlo oltre l’estate prossima, a meno che non venga campionato un nuovo “sesso e samba” con la fine della primavera. Ché anche la musica segue le stagioni da

quando si consuma nei canali digitali, ma questo è un altro discorso. Sorvolo anche sulla trivialità della scrittura portata avanti dai due rapper che hanno occupato per giorni le cronache mainstream, usando come arma ex mogli, fidanzate e presunte tali, come se si potesse pretendere una qualche sensibilità di genere da gente che usa il femminino come carne da macello in ogni strofa. L’unico genere a vincere è quello in musica, prendere o lasciare: come genitore ho imparato ad ascoltare e cercare di capire dove attecchiscano queste rime nelle cuffie

dei nostri figli e anche delle nostre figlie, ma qui scrivo come pubblicitario. E questo baccanale nasce dietro le telecamere di un format commerciale per i pubblici più giovani; l’eco mediatica ha funzionato: traffico e visualizzazioni sulle pagine della bibita confermano incrementi a doppia cifra.

Evidentemente la querelle ha portato i suoi frutti, ma mi chiedo se qualcuno (non è un maschile sovraesteso) negli uffici del brand che si fa editore e firma questo infelice duello sessista si stia interrogando sulla qualità dei contenuti messi in circolazione sotto le sue insegne. Le stesse che da anni portano emozioni, velocità, sport estremi, intrattenimento, eventi e spettacoli ad altissimo contenuto di adrenalina, barattata oggi con la faciloneria della dopamina a bassissimo cabotaggio per inseguire il target più corteggiato e sfuggente della réclame.

Se davvero ci mettete le ali, non sarebbe più costruttivo provare a volare più alti?