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Ambiente. Il Brasile punta sui biocombustibili. Ma per l'Amazzonia non sarà un affare

Giuseppe Baselice mercoledì 22 maggio 2024

La transizione energetica è davvero un cane che si morde la coda, come spesso sembra? Prendiamo l’esempio del colosso brasiliano Petrobras, che fattura l’equivalente di oltre 100 miliardi di euro e che ancora oggi, nonostante la “cura Lula” che vorrebbe limitarne la generosità con gli azionisti a favore proprio degli investimenti green, è una delle società che distribuisce più dividendi al mondo: solo quelli ordinari del 2023 ammontano ad una quindicina di miliardi di euro. Affari d’oro che sono però generati dai combustibili fossili e la stessa Petrobras insiste, in un continuo braccio di ferro col governo che è il primo azionista (tanto che pochi giorni fa Lula ha silurato il ceo Jean Paul Prates), nel rivendicare ad esempio la necessità di continuare ad estrarre petrolio alla foce dell’Amazzonia, pur garantendo che verrà fatto «con un impatto minimo».

Ancora più contraddittorio è però l’impegno assunto per la transizione verde. Petrobras, gigante che estrae 2,78 milioni di barili di petrolio al giorno, non può che continuare a fare del fossile il suo core business, ma allo stesso tempo promette di fare la sua parte per la produzione di carburanti alternativi. Come? Usando la soia e i grassi di origine animale scartati dagli allevamenti. Cioè sfruttando fonti di energia apparentemente sostenibili ma che derivano a loro volta dal disboscamento dell’Amazzonia e di altre aree verdi, sacrificate agli allevamenti intensivi. In Brasile il tema è particolarmente sentito, soprattutto dopo che sotto la presidenza Bolsonaro il disboscamento del polmone del pianeta aveva raggiunto livelli da record, tali da portare la comunità scientifica a sostenere che con questi ritmi di devastazione i danni per l’Amazzonia potrebbero diventare irreversibili già nel 2050.

Nel 2023 con il ritorno di Lula le cose sono andate meglio e le aree disboscate sono diminuite del 60% rispetto al 2022, ma ciò non ha impedito di veder sparire ogni giorno una superficie di foresta equivalente a mille campi da calcio. Petrobras vorrebbe dunque approfittarne per lanciarsi in un business ancora poco esplorato nel mondo: i biocombustibili per l’aviazione. Nel ricco piano di transizione energetica al vaglio del Parlamento brasiliano in questi mesi, tra le tante misure che vanno dai sussidi per l’eolica offshore a importanti investimenti sull’idrogeno verde – di cui il Brasile ha il potenziale per diventare un player di riferimento globale – compare anche il combustibile green per l’aviazione. Petrobras a dicembre 2023 ha firmato un contratto con l’azienda statunitense Honeywell UOP per acquisire la tecnologia HEFA (Hydroprocessed Esters and Fat Acids), in grado di produrre biocherosene per l’aviazione e diesel rinnovabile utilizzando appunto olio di soia e grasso bovino come materie prime.

L’obiettivo è implementare la bioraffineria di Cubatão (San Paolo), all’interno di un piano complessivo di investimenti green da 1,5 miliardi di dollari fino al 2028, che prevede partnership anche con imprese europee. Quello del cosiddetto Saf (Sustainable Aviation Fuel) è un segmento in piena espansione ma ancora con enormi margini di crescita. Basti pensare che nel 2023 in tutto il mondo la produzione ha superato i 600 milioni di litri, raddoppiando quella dell’anno precedente ma rappresentando appena lo 0,2% di tutto il combustibile consumato dall’industria dell’aviazione. Quest’anno la produzione di Saf è prevista triplicare ed è stimato che rispetto al cherosene tradizionale la versione bio rilasci tra il 50% e il 75% di emissioni di CO2 in meno.

L’Organizzazione internazionale dell'aviazione civile ha l’ambiziosissimo obiettivo di coprire con Saf il 100% della domanda di carburante degli aerei in tutto il mondo da qui al 2050 (il che significherebbe arrivare a produrre 35 miliardi di galloni all’anno), ma intanto Petrobras punta alla meta decisamente più realistica del governo brasiliano, cioè di ridurre le emissioni delle compagnie aeree del 10% entro il 2037. La finanza non sta a guardare: il fondo Mubadala Capital di Abu Dhabi si è fiondato sull’affare, annunciando 13,5 miliardi di dollari di investimenti sui biocarburanti in Brasile da qui a 10 anni. E pazienza se il biocombustibile arriva in realtà dal disboscamento delle aree verdi.

Alla nostra domanda su questa contraddizione, l’ufficio stampa di Petrobras ha risposto genericamente che «l’azienda si impegna a gestire la propria attività in modo sostenibile, al fine di garantire la riduzione delle emissioni, promuovere la diversità e lo sviluppo sociale, contribuendo così a una transizione energetica equa. Questo è uno dei pilastri della nostra politica Esg».