Capitali sociali. Cooperative di comunità: quando il bisogno diventa impresa
La cooperativa "Mesa Noa" a Cagliari promuove prodotti a Km0
«Un avamposto per lo sviluppo, capace di rivitalizzare un territorio in via di spopolamento, che torna a pulsare grazie ai servizi resi da cooperative costituite dai cittadini che rispondono a bisogni essenziali. Perché quando in un’area marginale lo Stato si ritira e chiudono l’ufficio postale e il bar… pensi davvero che sia finita. E invece abbiamo persone che trasformano un bisogno in un’impresa». Così Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, ci racconta il fenomeno delle cooperative di comunità. Che sono poco meno di 200 ma crescono, trasformando la marginalità in un punto di forza e valorizzando le risorse territoriali.
Cosa fanno queste coop? Di tutto. Valorizzazione, recupero e salvaguardia del patrimonio artistico, culturale e ambientale, delle tradizioni locali e delle eccellenze agroalimentari, turismo sostenibile e promozione locale, agricoltura sociale, energie rinnovabili, gestione parchi o boschi o beni comuni o beni culturali, manutenzione attiva del territorio ma an- che commercializzazione prodotti tipici, trasporti locali, servizi di welfare, sociale e socio sanitario dedicati alla comunità… Chi le aiuta? Nell’ambito della strategia pluriennale di promozione e sviluppo della cooperazione di comunità, Confcooperative, tramite FondoSviluppo, che è il fondo mutualistico alimentato dai contributi delle cooperative che vi aderiscono, negli ultimi tre anni ha messo a disposizione risorse per 1,5 milioni di euro, sostenendo 91 cooperative di comunità, di cui 67 start up. Quali strumenti si usano per aiutarle? Fondosviluppo ne usa uno di carattere economico: premio di nascita di 5.000 euro, abbattimento totale degli interessi del finanziamento erogato dalla Bcc locale (mutuo bancario fino a 30.000 euro), oppure, in alternativa, mutuo direttamente erogato da Fondosviluppo per 30.000 euro a condizioni agevolate. Ma anche assistenza alla progettazione e all’accompagnamento imprenditoriale. Il primo intervento è stato realizzato nel 2018 e ha visto la distribuzione di 500mi- la euro tra 33 cooperative, di cui 28 start up che coinvolgono 755 soci garantendo l’occupazione di 186 persone. L’intervento ha permesso di triplicare il valore della produzione aggregata passata da 900mila a 2,7 milioni di euro. Dove sono andati i soldi? In Abruzzo con 11 cooperative, 7 in Emilia Romagna con 7, in Piemonte con 3, in Toscana con tre e una in Lazio, Campania, Liguria, Veneto, Lombardia, Basilicata, Marche, Umbria e Calabria. Il secondo intervento è stato realizzato lo scorso anno e i dati completi sono ancora in fase di elaborazione. Le cooperative ammesse ai benefici sono state 58 di cui 49 start up; come per il primo intervento, l’Abruzzo si conferma la regione più attiva con 13 cooperative ammesse, seguito dalle 12 dell’Emilia Romagna, le 7 della Toscana, 5 della Lombardia e Sicilia, 4 Liguria, 3 Piemonte e Umbria, 2 Campania e Lazio, 1 Marche e Sardegna.
Ma cerchiamo di capire cosa siano facendo qualche esempio. A Cagliari, 'Mesa Noa' è una cooperativa di quartiere che opera in un’area degradata: promuove prodotti km 0 ed eroga servizi alla comunità. L’attività principale è quella dell’emporio collaborativo, solidale e autogestito, in cui i soci sono proprietari, lavoratori e clienti. A Vanano (Modena) Ortika fa agricoltura sostenibile, sostenibiltà ambientale, produzione, commercio e formazione: l’attività principale è la moda sostenibile ed applica un modello di business sostenibile fondato sull’economia circolare del tessile utilizzando, la pianta di ortica, dalla coltivazione sino al tessuto e alla realizzazione di abbigliamento, ma anche di prodotti alimentari e cosmetici. A Sciacca (Agrigento), la Cooperativa di comunità Identità e Bellezza gestisce spazi museali del territorio per conto della Soprintendenza e della Curia, trasformandoli in laboratori esperenziali: ha dato vita al Museo diffuso dei 5 sensi trasformando il centro siciliano in un museo a cielo aperto, fruibile anche da remoto tramite una piattaforma. Costituita nel 2020, ha 14 soci e punta a raggiungere i 60 occupati. A Ormea (Cuneo), infine, la Volpe e il Mirtillo è una cooperativa di comunità agricola che produce lavanda, eroga servizi di recupero dei castagneti e della vendita dei prodotti oltre che curare il ripristino della rete escursionistica. L’innesco di una cooperativa di comunità è il bisogno: il venir meno di servizi basilari per la comunità, come scuole, negozi, servizi socio-assistenziali, oppure l’esigenza di difendere l’ambiente o di creare lavoro… Giuridicamente parlando, le cooperative sono imprese di persone che si autorganizzano in forma partecipativa e mutualistica per risolvere problemi e bisogni comuni, che non si appropriano degli utili realizzati, ma li lasciano nell’impresa per le generazioni future.
Le cooperative di comunità sono caratterizzate più che dal tipo di attività svolte o dalla tipologia mutualistica scelta (di lavoro o di utenza o miste, o socia-li), da una particolare finalizzazione: quella di mantenere vive e valorizzare comunità locali a rischio di deperimento, quando non di estinzione. Esistono delle norme? Una legge nazionale sulle cooperative di comunità ancora non c’è, mentre ci sono delle leggi regionali, «tra loro anche molto diverse – spiega Massimiliano Monetti, architetto, presidente di Confcooperative Abruzzo e delegato nazionale delle cooperative di comunità – se si considera che alcune prevedono un contingente minimo di abitanti del territorio servito che debbono essere associati, e altre no. Stiamo lavorando per una normativa nazionale ed esiste un ddl alla Camera che consentirebbe di considerarle imprese sociali. Oggi sono inquadrate come cooperative di lavoro o di utenza o miste, o sociali, mentre, in realtà, svolgono funzioni trasversali, che complicano le cose anche in materia di contratti: come inquadro i lavoratori se al mattino accompagnano i bambini a scuola, poi gestiscono il punto vendita e infine sfalciano il prato?». Le cooperative di comunità esibiscono diversi codici Ateco, perché sono impegnate in più attività.