Diseguaglianze. Fabrizio Barca: «Perché serve un'eredità universale per i giovani»
Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Diseguaglianze e Diversità
Tra i possibili sinonimi del termine "'sostenibilità", quello che Fabrizio Barca predilige è senza dubbio "giustizia". «Pur limitandoci alla definizione più restrittiva, riferita all’ambito ecologico, non possiamo dimenticare che già negli anni Sessanta, all’interno del movimento per i diritti civili afroamericani, si era imposta la definizione di Environmental Justice, successivamente recepita in sede legislativa», sottolinea. E subito dopo aggiunge: «Che poi gli Stati Uniti abbiano dato effettiva esecuzione al concetto di 'giustizia ambientale' è purtroppo tutt’altra questione».
Economista, a lungo dirigente della Banca d’Italia e di prestigiose istituzioni anche a livello europo, Barca è stato ministro per la Coesione territoriale nel governo Monti. Oggi è coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità , e proprio in questa veste interverrà alla ventesima edizione dei Dialoghi di Trani, in programma dal 16 al 19 settembre. Il tema è appunto quello della sostenibilità, la cui declinazione è affidata a un vastissimo gruppo di relatori, tra i quali si trovano filosofi, politologi, artisti.
«Ormai dovrebbe essere evidente a tutti – soggiunge Barca – che la complessità è l’unica prospettiva adatta ad affrontare le sfide del presente». Vanno in questa direzione le "15 proposte per la giustizia sociale" che il Forum ha lanciato già prima della pandemia e che nel contesto attuale assumono un carattere di ancor maggiore urgenza. «Se qualcosa l’emergenza ci ha insegnato – sottolinea Barca – è che a pagare più duramente per le conseguenze di una crisi, si tratti del cambiamento climatico o della diffusione di un virus, sono sempre i più deboli. Proprio per questo è da loro che occorre ripartire, senza nascondersi dietro la difesa dello status quo. Le persone più fragili, le fasce più esposte della popolazione devono essere le prime a beneficiare del cambiamento. Perché di un cambiamento abbiamo bisogno, almeno questo mi sembra chiaro».
Barca parla di questo rovesciamento di prospettiva come di un assunto tanto semplice quanto efficace. «Ma dobbiamo applicarlo subito, senza adattarci in atteggiamenti conservatori – insiste –. Concentriamoci ancora sull’ambiente, che fornisce gli esempio più immediati. Davvero vogliamo convincerci che la soluzione consista nella regressione a un primitivismo di maniera? I dati dimostrano che, in quanto a capacità di attrarre investimenti produttivi, l’Italia è seconda solo alla Germania. Questo risultato è il frutto del lavoro, troppo spesso misconosciuto, di tante piccole e medie imprese che negli anni hanno investito in processi di sostenibilità, avvicinandosi spesso alla soglia dell’impatto zero. Detto altrimenti, ci sono imprenditori che la transizione ecologica la stanno già facendo per conto loro. A proprie spese, investendo capitali e competenze. Quello che manca è un tavolo al quale siedano rappresentanti del Governo, delle imprese, dei sindacati e che sappia fornire un indirizzo comune nel segno dell’innovazione».
La centralità del lavoro è un elemento che Barca sottolinea con forza anche nei suoi libri, come il recente pamphlet Abbattere i muri (Castelvecchi, pagine 48, euro 7,00) e il più corposo Un futuro più giusto, scritto a quattro mani con Patrizia Luongo ed edito lo scorso anno dal Mulino. «L’obiettivo – ribadisce – è che ci sia lavoro per tutti, e che sia lavoro di qualità. Non sto parlando di un’utopia, ma di una realtà che già si sta cercando di costruire, anche attraverso l’istituzione di nuovi organismi rappresentativi. Prima del coronavirus era stata avanzata la proposta dei consigli di lavoro e cittadinanza, strumenti di partecipazione da affiancare ai consigli di amministrazione delle diverse aziende per permettere la rappresentanza dei lavoratori, compresi i precari della filiera, e degli abitanti del territorio. Sarebbe un modo per superare la logica della contrapposizione tra istanze di per sé legittime, come quella del profitto e della tutela dei diritti. Non c’è nulla di male nel fatto che un imprenditore voglia guadagnare. Il punto è che non può e non deve farlo a discapito della comunità».
Anche da questo punto di vista, secondo Barca, il nostro Paese è chiamato a riscoprire la sua tradizione più autentica. «Già negli anni del boom – ricorda – fare profitto non era sufficiente. A rendere grande l’industria italiana è stato l’orgoglio di essere riconosciuta come forza di innovazione. La mia convinzione è che questo scenario sia ancora attuale. Il tessuto imprenditoriale è estremamente vivace, l’innovazione è molto più una pratica che un desiderio. Tutto questo fermento, però, stenta a trovare ascolto presso i decisori. A differenza di quanto sta accadendo in altri Paesi industrializzati, da noi la classe dirigente non riesce a farsi carico delle proprie responsabilità. Il fenomeno della rabbia e dell’insofferenza, che in queste settimane sta esplodendo nelle proteste della galassia No Vax e No Green Pass, ha radici anche in questa abdicazione della politica a vantaggio degli esperti di turno. Ma il processo decisionale non può essere delegato, non ci si può illudere di tecnicizzare la politica così da mettersi al riparo da ogni obiezione. In questa maniera si ottiene l’effetto contrario, come stiamo vedendo: l’opinione pubblica diffida dei tecnici come dei politici».
La sostenibilità si mette in atto nel presente, ma rappresenta un investimento per il futuro. «Le generazioni più giovani sono le vere destinatarie dei disegni ai quali stiamo mettendo mano – conferma Barca –. Una volta di più, però, le dichiarazioni di principio non sono sufficienti. Denunciare i danni della didattica a distanza è diventato fin troppo facile, adesso occorre fare qualcosa per evitare che la scuola sia abbandonata a sé stessa. Il metodo del Forum consiste sempre nel partire dal basso, dalle esperienze che già esistono: l’innovazione per l’imprenditoria, il territorio per la politica, le iniziative di base per l’istruzione. Azioni positive, non petizioni astratte. Per quanto riguarda i giovani, poi, c’è una proposta che ci sta particolarmente a cuore. Mi riferisco alla cosiddetta 'eredità universale', un patrimonio di 15mila euro del quale ogni ragazza e ogni ragazzo entra in possesso alla maggiore età. In moltissimi casi, una dotazione di questo tipo permetterebbe di non disperdere le competenze acquisite lungo il percorso scolastico. Anche questo sarebbe un modo per recuperare uguaglianza, garantire diritti, progettare sostenibilità».