Pubblicità civile. Con The Clothest* la moda è quella giusta
«Di solito la moda è associata a un’idea di frivolezza e capriccio, a un’industria insaziabile che riempie i negozi di cose futili. Ma basta sostituire il termine moda con vestiti e appare chiaro che si tratta di una questione che riguarda tutti». Così inizia il delizioso saggio di Marta D. Riezu, giornalista specializzata in comunicazione della moda, che ha pubblicato nella collana Vele di Einaudi un centinaio di pagine dedicate a La moda giusta. Ma esiste una moda giusta? Torniamo all’incipit dell’autrice e proviamo a sostituire la parola moda con vestiti. Si avverte immediatamente uno spostamento semantico che porta fuori dall’effimero e fa tornare alla funzione primordiale del coprirsi, ornarsi, rappresentarsi, identificarsi.
Non è un caso che abito e abitare accolgano la stessa radice etimologica, che dal greco riporta a un modo di essere e dal latino recupera l’avere. Come se in un ideale concetto astratto del vestire potesse ricomporsi un antico dilemma filosofico tra essere e avere. Ma voglio andare oltre la sostituzione proposta dalla Riezu, per raccontare un’idea civile di moda che sembra rispondere perfettamente al titolo del saggio: se la parola vestiti coniuga un improbabile superlativo assoluto della sua omologa di lingua inglese, ci troviamo come dentro un incantesimo di possibilità e speranza. Il brand infatti si chiama Clothest*, con l’asterisco. È un neologismo che battezza una start up di moda solidale che ha come presidente un sacerdote. Una pattuglia di volontari e volontarie si danno appuntamento ogni fine settimana per costruire lookbook, collezioni, all’interno di un e-commerce che non ha niente da invidiare a quelli più blasonati dell’industria della moda, sì, la stessa di cui sopra. Ma qui non c’è nulla di futile, anche se tutti i capi in vendita provengono dalle più celebri maison del mondo. Armani, Gucci, Prada, Dolce & Gabbana, Versace, Scervino… non manca proprio nessuno all’appello delle più rinomate passerelle, ma qui le modelle sono le volontarie, i modelli sono i ragazzi del gruppo che aiuta una Casa Famiglia Caritas in quel di Montevarchi, Toscana, che donano ogni ricavato al sostegno di circa 40 famiglie ospitate dalla Comunità. The Clothest* nasce come esperimento di innovazione sociale. È un’idea di moda giusta, solidale, responsabile, dove compri un usato rigenerato, aiuti le persone più fragili e non rinunci a quell’idea di moda che usa gli abiti come rappresentazione di sé, provando a lasciarsi dietro per una volta quel ricatto di volatilità e spreco che ha reso questo mondo insopportabile alle generazioni più giovani. Riezu suggerisce di imparare a comprare meno e a scegliere meglio. The Clothest* – vestiti superlativi – sembra essere una possibile soluzione per continuare a sperare in un mondo migliore.
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