C'è del talento nell'essere ribelli: quella scossa che cambia le aziende
Francesca Gino, ricercatrice e docente alla Harvard Business School di Boston
Francesca Gino, 43 anni, è ricercatrice e docente alla Harvard Business School di Boston. Vive negli Stati Uniti da 20 anni, è sposata e ha quattro figli. È l’autrice di Talento ribelle: Perché infrangere le regole paga (nel lavoro e nella vita), libro che di spunti interessanti ne offre molti. «Sono una ribelle in 'training', cerco di imparare da quello che scrivo e dalle idee altrui che mi hanno colpita» dice Gino. Lei, un maglione rosa chiaro con una fantasia a cuori e i disegni dei figli alle sue spalle, non è la classica docente che ci si potrebbe aspettare a Harvard. Sorride molto, gesticola altrettanto e chiarisce subito che «tutti siamo ribelli a modo nostro. L’idea alla base del libro è semplice: possiamo prendere spunti dagli altri e affinare il nostro talento, ognuno può portare un cambiamento». La docente ha studiato casi di aziende, realtà e gruppi che hanno modificato il proprio comportamento, punto di vista e le proprie azioni, producendo un cambiamento positivo per sé e per gli altri. Le abilità dei 'ribelli', come li chiama lei, sono cinque.
La novità, cercare costantemente di orientarsi verso il nuovo; la curiosità, domandarsi 'perché'; la prospettiva, guardare il mondo con gli occhi degli altri; la diversità, sfidare ruoli sociali predeterminati; l’autenticità, rimanere aperti per entrare in contatto con gli altri. La domanda sorge spontanea: davvero tutti possono agire e cambiare le cose che non vanno e portare un punto di vista alternativo? «Certo che sì – sorride Gino – è quello che voglio comunicare in queste pagine. Non c’è nessun ambiente troppo rigido o troppo formale da innovare. Anche quello militare». La professoressa ha studiato esempi di ribellione positiva all’interno dell’aviazione americana e notato come abbiano migliorato le performance dei soldati e prodotto un clima più disteso perché «bisogna capire come rimanere focalizzati su ciò che si può imparare, non su quello che abbiamo imparato in passato. Dobbiamo chiederci: Cosa posso imparare oggi? E poi spingerci in là e dire: Cosa posso fare io per gli altri? Così non aspettiamo un cambiamento esterno, ma ci muoviamo noi stessi per attuarlo».
La curiosità va stimolata fin da bambini, per questo è importante non frenare i piccoli o non arrabbiarsi quando chiedono il perché di una cosa. «Io cerco di fare ai miei figli la loro stessa domanda. Gli chiedo come risponderebbero, come si potrebbe risolvere quel problema», dice Gino. L’aspetto della curiosità è importante e ci porta a fare domande. Il nostro approcciarci in modo curioso all’altro riduce il giudizio negativo che lui potrebbe avere nei nostri confronti. Questo aspetto fa parte della mentalità più diffusa: Il curioso è un impiccione. «Tantissimi studi in verità dimostrano che se facciamo le domande in modo genuino e autentico, non offendiamo l’altro – dice Gino – e non veniamo giudicati». La studiosa ha analizzato centinaia di casi studio, dall’azienda di fast food, alla gerarchia nelle navi pirata, al pilota di aerei che anni fa è atterrato nel fiume Hudson. E non sono tutti casi americani, anzi. Olivetti e Cucinelli, per esempio, sono eccellenze italiane studiate e conosciute all’estero. Gino stessa si è messa in gioco per scrivere il suo libro e lo ha fatto andando a lavorare all’Osteria Francescana di Massimo Bottura. «Lui mi ha detto: 'Ok, vuoi vedere come funziona qui e come lavoriamo, per capirlo lo devi vivere'». Il suo ristorante, tre stelle Michelin nel cuore di Modena, assomiglia più a un laboratorio creativo che a un locale in cui mangiare. Bottura la mattina aspetta personalmente i suoi fornitori e li aiuta a scaricare i prodotti, gioca a pallone con la sua brigata nel retro del ristorante e chiede loro di cucinare, una volta a settimana, un piatto della propria tradizione.
«Dello chef mi ha colpita una frase: 'Le tradizioni sono degli esperimenti ben ricevuti, ma esistono per essere cambiate'. Questo pensiero è straordinario se consideriamo quanto in Italia si è legati alla cucina della nonna che non può essere cambiata in alcun modo». Non avere paura di esporsi quindi, essere curiosi e sperimentare, perché un pensiero divergente spesso è alla base di grandi successi e grandi intuizioni. Ecco quindi che un’idea che sembrava banale può diventare decisiva per risollevare un fatturato che stava crollando o svecchiare un prodotto che non andava più di moda. «Molte volte siamo tutti focalizzati sullo stesso obiettivo e quindi c’è un vantaggio nel capire il punto di vista dell’altro – spiega la professoressa –. Non dobbiamo alzare la voce per cercare di avere ragione, ma chiedersi perché l’altra persona ha un’idea diversa dalla nostra, cosa vede che noi non vediamo». Non dobbiamo aspettare gli altri, ma muoverci per primi senza temere di essere giudicati. «Coraggio è la parola giusta, quella che ci serve per non sedersi sugli allori – dice Gino –. Io imparo qualcosa di nuovo ogni volta che intervisto una persona, mi metto nelle sue scarpe o visito un’azienda. Le persone hanno davvero delle idee meravigliose, basta saperle accogliere».