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Urbanistica e ambiente. «A New York progettiamo il futuro green delle città»

Monica Zornetta mercoledì 26 gennaio 2022

Marco Giometto, 36 anni, direttore del Laboratorio di Fluidodinamica della Columbia

In quale modo interagiscono città, natura e clima? Quanto contano le turbolenze atmosferiche nella progettazione di spazi urbani vivibili e sostenibili? «Ma possiamo chiederci anche: che cosa succederebbe a New York se rimuovessimo Central Park? E a Milano, Roma o Torino, se eliminassimo i parchi? Finché non conosceremo con esattezza gli effetti che le concentrazioni di alberi e giardini hanno sulla qualità dell’aria, sulle temperature e sul clima, non riusciremo a pianificare città realmente green per tutti». Ad affermarlo è il 36enne ingegnere vicentino Marco Giometto, professore di Ingegneria alla Columbia University di New York, dove è direttore del Laboratorio di Fluidodinamica ambientale, che da qualche anno studia questi fenomeni e le loro interazioni con l’ambiente urbano e naturale grazie a specifici modelli previsionali 'multi-uso' da lui ideati. «Costituiti in parte da dati di campagne sperimentali e in parte da teorie della fisica, questi modelli, utilizzabili anche in ambiti diversi dal nostro – penso a quello geofisico e a quello ingegneristico, al biologico e delle tecnologie energetiche – ci permettono di misurare le quantità di inquinamento, di energia termica, di umidità presenti nell’atmosfera e il modo in cui esse variano a seconda delle geografie e dei materiali che compongono la superficie terrestre», spiega al telefono dal suo appartamento di Manhattan, dove vive dal 2018 dopo aver concluso il dottorato all’École Polytechnique Fédérale di Losanna e gli studi post dottorato alla Stanford University, California, e alla British Columbia di Vancouver, Canada. «Quale impatto avranno sulle montagne, sulle foreste, sui mari, le big cities del futuro? Che tipo di politiche dovranno varare i governi delle regioni e degli Stati per costruire luoghi più sostenibili nell’utilizzo delle risorse e più vivibili per le persone? Con quali criteri va distribuita la vegetazione nelle città che verranno? Con quali materiali dovranno essere realizzate per limitare, ad esempio, le isole di calore o i venti eccessivamente forti? Ancora non lo sappiamo, ma per rispondere, in parte, a queste domande, pianteremo presto una piccola foresta naturale nel Bronx e ne studieremo gli effetti attraverso campagne di misura e modelli numerici; si tratta di problemi particolarmente sentiti in tutti gli Stati Uniti, dove i centri urbani registrano un’alta densità di popolazione e di servizi e dove è enorme l’impronta lasciata nell’ambiente naturale», continua l’ingegnere veneto, che grazie alle sue ricerche innovative è stato tra i finalisti del prestigioso Embassy of Italy Award dell’Issnaf, l’organizzazione che promuove la cooperazione scientifica, accademica e tecnologica tra ricercatori e studiosi italiani che operano in Nord America e in patria.

«Non ho vinto il premio ma già trovarmi nella rosa dei tre finali- sti è stato un bellissimo risultato, anche per la Columbia University, che mi ha sempre sostenuto. Poiché gli studi sulle relazioni di reciprocità tra le città e l’atmosfera sono al centro dei temi della sostenibilità e della resilienza ambientale, con il mio laboratorio stiamo cercando di capire come e quanto la geometria dei materiali e delle superfici è in grado di influenzare il trasporto di inquinanti, temperatura e umidità. Il tutto, sempre considerando l’aspetto etico-sociale e le ricadute pratiche che il nostro studio può avere sul territorio». Sebbene la comunità scientifica internazionale concordi nel riconoscere che la sostenibilità in ambiente urbano è la chiave per raggiungerla anche a livello locale e globale, le cose al momento non stanno così «perché sono soprattutto i residenti dei quartieri più ricchi a poter godere di aree verdi, di spazi salubri, mentre a chi vive nelle grandi periferie viene in genere preclusa questa preziosa possibilità». Figlio del direttore di Neurologia dell’Ospedale Santa Chiara di Trento e di un'insegnante di Sandrigo, fratello di un professore di Ingegneria civile e ambientale alla Cornell University di Ithaca (New York) e fidanzato con una delle Program Managers del Dipartimento di Polizia di Vancouver, Giometto sta raccogliendo i risultati del suo importante lavoro scientifico cominciato ai tempi dell’Università, a Padova. «Il mio studio sulle turbolenze, partito nel 2010, ha suscitato anche l’interesse di Amazon, che nel febbraio 2021 mi ha invitato a partecipare all’Amazon Visiting Academic program, un nuovo programma ideato per facilitare collaborazioni con professori universitari. Al momento lavoro part-time con i loro ingegneri per sviluppare droni che in futuro permetteranno il trasporto dei pacchi in ambienti rurali e nelle città, evitando il traffico. Sto sviluppando modelli numerici che aiutano a capire gli effetti che la turbolenza atmosferica ha sui droni, per renderli più stabili e sicuri». Pensa di poter tornare un giorno a lavorare in Italia? «Mi piacerebbe molto, ma il nostro Paese, sfortunatamente, non offre tante opportunità per chi lavora nel campo accademico e della ricerca: è un vero peccato perché se oggi sono qui dove sono a dirigere un laboratorio così prestigioso è anche per il tipo di istruzione che ho ricevuto in Italia. Ho avuto la fortuna di avere ottimi insegnanti che mi hanno motivato e trasmesso la passione e la curiosità per le scienze matematiche e fisiche», riflette. «Sono pienamente convinto che fin da piccoli sia fondamentale avere docenti capaci di motivare gli studenti, ma mi pare che l’Italia da un po’ di tempo si sia arresa e abbia smesso di fare un buon lavoro in questo senso, che non punti più sugli insegnanti, sulla scuola pubblica, sul lavoro formativo ed educativo: che non punti più, insomma, su tutto ciò che significa futuro'».