Alimentare. Zucchero italiano, buono ma poco
Ramona è una mamma che lascia il lavoro in uno studio legale; per l'amore della propria terra e diventare imprenditrice agricola. Riassumiamo così la storia riportata su una confezione di zucchero di Italia Zuccheri che riporta pure, messaggio non secondario anzi..., «per fare l'unico zucchero 100% italiano ci vuole la passione dei nostri agricoltori».
A partire dal 2006 la caduta
Ecco, zucchero italiano, ma come siamo messi? Nel 2006 la "catastrofe" con la riforma del mercato europeo che ha decimato i nostri 19 stabilimenti che avevano una produzione di 1,4 milioni di tonnellate equivalenti al 17% di quella continentale e il 75% del fabbisogno nazionale in cambio di incentivi (700 milioni di euro) per la trasformazione degli zuccherifici in siti per la lavorazione delle biomasse (in Italia solo 3 siti, però, sono stati riconvertiti a biomassa) e lasciando a noi 4 stabilimenti, mentre in Europa gli stabilimenti passavano da 192 a 109 con il taglio di 20mila posti di lavoro. Poi nel 2017 arrivò la "liberalizzazione". Insomma, liberi tutti di produrre a proprio piacimento. Il risultato è che oggi i colossi francesi (oltre 5 milioni di tonnellate prodotte), tedeschi (oltre 4 milioni) e polacchi (oltre 2 milioni) monipolizzano il mercato europeo. Perché non va dimenticato che lo zucchero è una commodity, quindi legata al mercato mondiale.
In Italia solo 2 zuccherifici
La situazione attuale del nostro Paese, dopo i fasti passati, vede ormai solo due zuccherifici del gruppo Co.Pro.B. (un terzo, del gruppo Maccaferri, è sospeso) a Minerbio, nel bolognese e Pontelongo, nel padovano, in zone vocate alla coltivazione della barbabietola con una produzione tra le 250 e le 280 mila tonnellate (la produzione del Belpaese è pari al 20% del nostro fabbisogno) e 600 lavoratori tra fissi e stagionali. Ci sono poi 7mila bieticoltori con coltivazioni sparse su 30-33mila ettari. Senza dimenticare il lavoro stagionale che coinvolge sempre di più tanti giovani volenterosi. «Uno zuccherificio riversa sul territorio 100 milioni l'anno» ci dice Patrick Pagani, direttore di UnionZucchero. Che non nasconde però le difficoltà del settore. «Veniamo da un periodo di nuova regolamentazione – precisa –. Dal 1° ottobre 2017 si produce quanto si vuole così Germania e Francia lo fanno in modo mostruoso con un surplus - che però è stato smaltito dai Paesi dalla bassa produttività - ma con prezzi al limite della sostenibilità. Ora va un po' meglio, in Italia facciamo sistema con le cooperative e con partnership di filiera. Ma anche servendo quell'industria alimentare che privilegia il solo zucchero italiano. E poi innoviamo: abbiamo realizzato il primo zucchero grezzo di barbabietola». Qualità e innovazione per fronteggiare i colossi stranieri, non solo europei, perché la concorrenza incute timore, come quella brasiliana. «Il Brasile – sottolinea Pagani – è il più grande esportatore mondiale e porta fuori dai suoi confini il 50% della produzione. Poi stiamo osservando con attenzione gli sviluppi dell'accordo Mercosur con i Paesi del Sud America. Da oltre Oceano potrebbero arrivare 190mila tonnellate di zucchero che non pagherebbero dazi. Per noi si tratta di una minaccia fortissima».