Economia

L'analisi. Guidare sarà presto un privilegio per pochi

Alberto Caprotti mercoledì 2 marzo 2022

Auto degli anni 50 e 60 a Cuba, ancora oggi in circolazione

Sono troppi gli indizi per illudersi che il finale sia diverso da questo. L’automobile sta diventando sempre più un privilegio per pochi, e non per scelta – opzione che potrebbe anche essere legittimo augurarsi – ma per la coercizione, determinata da una lunga serie di ragioni, che consentirà di permettersela solo a chi ha ottime condizioni economiche. Senza guardare troppo avanti in Italia, almeno per quanto riguarda le vetture nuove, questa è già una realtà oggi. Nel nostro Paese il tasso di rinnovo del parco circolante delle autovetture è da tempo il più basso tra quelli dei principali mercati automobilistici europei. In sette anni, e cioè dal 2014 al 2020, in Italia sono state immatricolate in totale poco più di 12,1 milioni di autovetture che, a fronte di un parco circolante composto alla fine del settimo anno (il 2020) da circa 39,7 milioni auto, hanno portato a un tasso di rinnovo del 30,6%. Ciò significa che del parco circolante di autovetture al 31 dicembre 2020 soltanto meno di un terzo era stato acquistato nei sette anni precedenti. E quindi che quasi il 70% aveva otto anni o più. Si tratta di un valore molto inferiore rispetto a quello rilevato nello stesso periodo in Germania, Regno Unito e Francia. E particolarmente penalizzante al Sud Italia, con un tasso di rinnovo del parco circolante di appena il 14,4%, che scende addirittura al 14,1% per le Isole.

Tante auto decrepite in circolazione, oltre alla crisi del settore e ai problemi occupazionali di una filiera che coinvolge migliaia di famiglie in Italia, significa meno sicurezza sulle strade e inevitabilmente più emissioni nocive nell’aria. Forse è eccessivo immaginarsi – come ha fatto recentemente Carlo Cavicchi, uno dei più lucidi osservatori del fenomeno automotive - uno scenario futuro in cui il nostro Paese possa diventare una nuova Cuba, ma quando le vetture termiche non potranno più essere vendute, e quelle nuove saranno poche e guidate solo da chi può permetterselo, sulle nostre strade vedremo centinaia di vecchie carrette a cui i proprietari non hanno potuto rinunciare, e che continuano bene o male a funzionare pur con sistemi di sicurezza obsoleti. Con l’inquietante prospettiva che la motorizzazione di massa, che è stato il primo simbolo della raggiunta libertà dei popoli, stia per finire.

Sono molteplici, si diceva, le ragioni per cui la situazione è rapidamente precipitata. Quella economica è indubbiamente la prima: l’oggetto auto è sempre meno accessibile alla maggior parte della popolazione per i costi sempre più alti che comporta a livello di acquisto e di manutenzione: secondo una stima di Assoutenti, una volta acquistata, la proprietà di un’auto costa mediamente 3.360 euro all’anno tra spese fisse e accessorie, tasse e carburante. E la svolta verso formule di noleggio a lungo termine sempre più popolari nella prassi non ha cambiato di molto la situazione. Non giova inoltre la politica persecutoria di molte amministrazioni comunali volta a espellere progressivamente le automobili dalle città, riducendo i parcheggi sempre più e alzando il costo della sosta a livelli per molti inaccettabili. Anche qui, sotto le spinte ambientaliste: sacrosante, ma che diventano spesso persecutorie quando c’è un’automobile nel mirino.

A tutto questo si aggiungono le sempre maggiori perplessità dei consumatori e – ultimamente – anche dei costruttori per il passaggio troppo accelerato verso l’elettrificazione, iniziata come ipotetica soluzione per la riduzione del tasso inquinante e rivelatosi invece un processo lungo, difficile e per molti versi illusorio ma soprattutto carissimo e sostenibile solo da chi ha alte possibilità economiche e caratteristiche esistenziali “elettrocompatibili”. Oggi l’auto elettrica è quanto di meno democratico possa esistere, nel senso che resta un’opzione esclusiva per chi può spendere mediamente il doppio rispetto allo stesso modello in versione termica, non è obbligato a lunghi spostamenti e possiede un garage o un posto di lavoro dove poter installare la colonnina di ricarica. Il mercato stesso inoltre ha dimostrato in questi ultimi mesi che senza incentivi che ne abbattano artificialmente il costo, l’elettrico non esiste nelle ipotesi delle scelte degli italiani. E per molti anni non sarà comunque un prodotto di massa.

Più in generale, le automobili oggi sono sempre più care e sempre più grandi per venire incontro all’esigenza della maggioranza delle famiglie che non possono più permettersi più di una vettura in tutto, e devono scegliere un modello “trasversale” , in grado di piacere ai genitori ma anche ai figli, di non essere troppo ingombrante per la città ma nemmeno troppo piccolo per risultare non idoneo alla vacanza estiva. Ora in più, l’ibrido e l’elettrico hanno ulteriormente alzato l’asticella dei listini: le case non offrono più sconti perché hanno margini già risicatissimi, e l’usato è quasi introvabile e a prezzi molto superiori rispetto al passato per la crisi dei chip che ha reso biblici i tempi di consegna del nuovo.

L’auto però ha la sua buona parte di colpe. Anche volendo dimenticare il fatto che la sua profonda crisi è iniziata con il Dieselgate – la truffa industriale nata all’interno del suo mondo soprattutto per la responsabilità di un singolo costruttore potente e senza scrupoli ma senza la sicura innocenza di molti altri – ora piange miseria di fronte ai crolli di mercato mentre però chiude bilanci paradossalmente in attivo. Nel 2021 la crisi dei chip ha fatto crollare le immatricolazioni del nuovo ma ha contribuito a svuotare i piazzali delle concessionarie invase da km zero e prodotti invenduti. Tutti i marchi per salvare la redittività hanno rallentato o sospeso la produzione dei modelli che offrono minore marginalità. In sintesi, hanno venduto di meno ma hanno guadagnato di più su ogni singola vettura venduta. Un altro punto a sfavore dunque per chi ha minori possibilità economiche.

La tendenza è ormai diffusa e apparentemente irreversibile: tutti i costruttori stanno puntano sul mercato del lusso, in alcuni casi togliendo dai propri listini i modelli più popolari, o alzando il livello minimo degli equipaggiamenti. Alcuni marchi, come Mercedes e (anche se in maniera non così evidente) Bmw – che, per fare un esempio, ha già eliminato il cambio manuale a favore di quello automatico su tutta la gamma – dichiarano apertamente la loro ulteriore svolta verso il lusso e la focalizzazione su clienti di livello superiore, gli unici in grado di permettersi le vetture che produrranno da qui in avanti. Anche Audi si è adeguata con l’uscita di scena di modelli più contenuti nelle dimensioni (e meno redditizi) come la A1 e la Q2, che non avranno una prossima generazione. Ma pure i brand generalisti (si può ancora definirli così?) seguono l’onda, visto che non avremo una nuova Citroen C1 e nemmeno una Peugeot 108, ma sempre più Suv che hanno oggi piacciono ai consumatori e che permettono migliori margini. E’ la fine di una specie, quelle delle utilitarie economiche? Forse in realtà è la fine di un’era.