Tanti italiani all’estero quanti gli stranieri in Italia. L’emigrazione dal Belpaese non è più storia del passato, fatta di valigie di cartone, traversate oceaniche, lavoro nelle fabbriche, nelle miniere, nei ristoranti. La crisi economica spinge di nuovo gli italiani a comprare un biglietto di sola andata. Ma a differenza che nei decenni passati, ad andarsene sono soprattutto i giovani più preparati. I cittadini iscritti all’Aire, l’anagrafe italiani residenti all’estero, al 1° gennaio 2015 erano oltre 4 milioni 636 mila (4 milioni 922 mila gli immigrati in Italia per Eurostat), con una crescita rispetto al 2014 di oltre 154 mila unità. Netta la tendenza del decennio: prima della crisi, nel 2006 erano 3 milioni 106 mila. Un milione e mezzo in più, quindi, il 49,3%. È una fotografia che sorprenderà molti, quella scattata dal X
Rapporto italiani nel mondo 2015, realizzato dalla Fondazione Cei Migrantes. Alla presentazione, aperta da un video di Tv2000 presentato dal direttore Paolo Ruffini, sono intervenuti il presidente e il direttore di Migrantes, il vescovo
Guerino Di Tora e monsignor
Giancarlo Perego, la curatrice del Rapporto, Delfina Licata, il demografo dell’Università Cattolica Alessandro Rosina, il direttore di Alma-Laurea Marina Timoteo, la docente di geografia della Sapienza Flavia Cristaldi e il senatore Claudio Micheloni, presidente del Comitato Italiani all’estero.Le iscrizioni all’Aire dunque sono in gran parte per espatrio, 2 milioni 443 mila, il resto per nascita, un milione 818 mila. Gli espatri nel corso del 2014 hanno superato quota 101 mila, superando i 94 mila del 2013, per una crescita pari al 7,6%. E se resta in gran parte meridionale la provenienza dei nuovi emigranti (Sicilia 713 mila, Campania 463 mila, Calabria 382 mila, Puglia 336 mila) non sono pochi quelli che partono dal Lazio (410 mila) e da ricche regioni del Nord: Lombardia (396 mila) e Veneto (351 mila). Per monsignor Perego «ci deve essere il diritto di andare, ma anche quello di restare. Per ogni immigrato che viene qui, tre italiani se ne vanno. Finché saranno queste le condizioni del lavoro in Italia, sempre più giovani se ne andranno via». Concorda monsignor Di Tora: «L’Italia continua a cambiare: è tornata ad essere un Paese di emigrazione». A prendere il trolley - non più la valigia di cartone - sono in prevalenza uomini (56%), non sposati (59%), tra i 18 e i 34 anni (quasi il 36%). La meta preferita è la Germania (14.270) seguite da Gran Bretagna (13.5425), Svizzera (11.092), Francia (9.020) e Argentina (7.225). Quello che preoccupa di più per la salute del sistema-paese sono sicuramente le partenze di questi giovani più qua-lificati, che nel 'combinato-disposto' con il calo demografico inevitabilmente tolgono ossigeno al Belpaese. Lo dice con chiarezza, il demografo
Rosina. Il primo problema è il calo delle nascite: «Come se ogni anno partissero 250 mila giovani». Il resto lo fanno due categorie di giovani: «I Neet, cioè chi non studia, non lavora e non cerca un impiego, sotto i 35 anni, per lo più con titolo di studio medio basso, del Sud. E l’Italia è in Europa la principale fabbrica di Neet, uno su quattro». Poi ci sono gli Expat: «Stessa fascia di età, del Nord, titoli di studio medio-alti. Il 61% già mentre studia mette in conto di partire». Insomma: poche nascite, laureati che partono, inoccupati che restano: «Il saldo italiano è negativo – è l’analisi di Rosina – e l’aspetto più grave è che questo vuoto non è compensato, come in altri paesi dell’Ue, da un flusso di arrivi». Ma non è una tendenza inarrestabile: «Se valorizzati, tornerebbero tutti. Anche a nuoto».