Risparmio. Investire sulle Poste private? Per ora non un grande affare
Un manifestante allo sciopero contro la privatizzazione delle Poste (Fotogramma)
Mettiamoci nei panni di un risparmiatore che avesse deciso di aderire all’offerta di collocamento con il pacchetto minimo, cioè 500 azioni, spendendo 3.375 euro. Quel risparmiatore il venti giugno di quest’anno ha incassato i dividendi: Poste ha distribuito 39 centesimi ad azione, al netto del 26% di tasse fanno 125,8 euro netti. Da fine ottobre il nostro risparmiatore può andare di nuovo all’incasso, chiedendo di ottenere le sue “bonus share”, il premio fedeltà promesso dal Tesoro a chi avesse tenuto le azioni di Poste almeno un anno: un’azione ogni venti possedute. Deve sbrigarsi, perché se non le chiede entro fine novembre le azioni premio non gliele danno più, e invece ha diritto ad avere 25 titoli, che alle quotazioni di oggi valgono 148 euro. Bonus e dividendi non bastano però a riportare in parità il bilancio del suo investimento. Un anno fa il risparmiatore aveva 3.375 euro, oggi invece ha 525 azioni che valgono 3.108 euro e arriva a 3.234 euro se ci aggiunge i dividendi che ha staccato. Insomma, mancano 141 euro.
È vero che poteva andargli peggio. Avrebbe potuto decimare il suo investimento comprando azioni del Monte dei Paschi (-87% in un anno) o perdere il 30% comprando un fondo Etf che segue l’andamento di Piazza Affari. Però è anche vero che nelle settimane in cui le Poste presentavano la loro Ipo il ministero del Tesoro organizzava l’asta di un Bot a 12 mesi che offriva un tasso negativo: -0,238%.
Se un anno fa gli avessero detto che era meglio regalare quei dieci euro al ministero piuttosto che comprare azioni delle Poste il piccolo risparmiatore non ci avrebbe creduto.