Economia

LA GRANDE CRISI. Usa, record di senza lavoro. L'allarme di Obama

da New York Loretta Bricchi Lee sabato 6 dicembre 2008
Potrebbe essere il peggior rapporto occupazionale mai presentato dal Dipartimento al Lavoro americano. Ieri, i dati relativi a novembre hanno indicato che l'economia Usa ha perso 533mila posti di lavoro, l'emorragia peggiore dal 1974, ben 34 anni fa. A rendere la notizia ancora più preoccupante è il fatto che, nonostante la crisi economica degli ultimi mesi, il dato ha nettamente superato le previsioni degli analisti che si aspettavano, al peggio, un calo di 335 mila posti. Come se non bastasse il governo ha rivisto in negativo anche i risultati dei due mesi precedenti " annunciando quindi che a ottobre sono andati persi 320 mila posti di lavoro (80 mila in più delle cifre già registrate) " e che a settembre la perdita ha toccato 403mila unità. In soli tre mesi, quindi, sono stati tagliati quasi 1,3 milioni di impieghi, pari ai due terzi dei due milioni di posti di lavoro persi quest'anno, portando il tasso di disoccupazione dal 6,5% al 6,7%. Un segno che la situazione è peggiorata velocemente e che dà poche speranze per l'immediato futuro. Più colpiti dai licenziamenti il comparto dei servizi, che ha perso 370 mila posti, quello manifatturiero (-85mila) e il settore delle costruzioni (-82mila), ma anche il commercio ha visto un indebolimento occupazionale, in un periodo in cui solitamente i negozi aumentano l'organico in vista degli acquisti natalizi. Come ha sottolineato ieri il presidente eletto Barack Obama, quindi, «è possibile che questa crisi peggiorerà prima di migliorare». Sebbene «non ci siano modi facili o rapidi» per risolvere l'emergenza, ha ricordato il futuro capo della Casa Bianca reagendo agli ultimi dati economici, la crisi «offre la possibilità di trasformare l'economia Usa e migliorare la vita degli americani» attraverso l'attuazione di un piano «che crei almeno 2,5 milioni di posti di lavoro nei prossimi due anni». Ciononostante, sono necessarie «misure urgenti», ha ammesso Obama. È sempre quindi più probabile, che prima di poter realizzare alcuni dei suoi obiettivi " ricostruire le strade, ammodernare le scuole e ridurre la dipendenza dal petrolio estero " il nuovo presidente intervenga per sostenere l'economia. «La mia amministrazione è impegnata affinché l'economia vada avanti e so che la prossima condividerà lo stesso scopo», ha sottolineato il presidente uscente George Bush, spiegando dai giardini della Casa Bianca che sebbene l'America «sia in recessione», ci sono «segnali incoraggianti» provenienti dal comparto creditizio che sembra si stia gradualmente «scongelando». Mentre quindi l'amministrazione corrente intende occuparsi di portare a termine il pacchetto di misure varato dal Congresso per aiutare l'economia, spetterà al gruppo di Obama " ha spiegato ieri il portavoce della Casa Bianca, Scott Danzel " «concentrarsi su un piano di stimoli» aggiuntivo. La Banca centrale Usa potrebbe apportare un taglio al costo del denaro e cercare interventi per ridurre i tassi dei mutui immobiliari e dei finanziamenti ai consumatori, ma Bush si è detto «preoccupato per la sopravvivenza delle case automobilistiche», sollecitando il Congresso ad «agire la prossima settimana» facendo sì però di avere «la garanzia che i sodi dei contribuenti verranno restituiti». Dopo le udienze di giovedì al Senato, gli amministratori delegati di General Motors, Chrysler, e Ford hanno infatti presentato la loro richiesta di 34 miliardi di dollari di finanziamenti alla Camera Usa, sostenendo che il loro fallimento significherebbe la perdita ulteriore di posti di lavoro. Un fondamento logico che " dopo i dati di ieri " ha aperto uno spiraglio all'aiuto del governo e che ha pertanto cambiato la sorte del mercato azionario: dal calo del 2,3% in apertura quale reazione al rapporto del lavoro, Wall Street ha chiuso in rialzo del 3,1%.