University Report. Quanto vale il titolo di studio nel mercato del lavoro?
Ancora pochi i laureati in Italia
In Italia solo il 19,3% della popolazione ha un titolo di studio accademico, contro il 36,9% medio dei Paesi Ocse.Se si considerano i giovani (25-34 anni) si sale al 27,7% contro il 44,5% della media Ocse. Ci posizioniamo penultimi nella classifica, subito prima del Messico. È quanto emerge dall’University Report dell’Osservatorio Jobpricing che - quest’anno in collaborazione con Spring Professional - tenta di fare più chiarezza sul rapporto fra istruzione universitaria e retribuzione.
L’Italia spende mediamente meno degli altri Paesi per l’istruzione e il tasso di abbandono prematuro di istruzione e formazione è superiore al resto della Ue: la spesa complessiva (dalla scuola primaria all’università) è pari al 3,6% del Pil (media Ocse 5%) mentre il tasso di abbandono è del 14,5% (media Ocse 10,6%). Fra laureati e non laureati c’è una differenza retributiva di circa 12mila euro lordi nella Ral-Retribuzione annua lorda (39.787 euro vs 27.662 euro). Il divario retributivo tra laureati e non laureati cresce a seconda delle fasce di età. Nella fascia tra i 15 3 i 24 anni è in media del 12,3% e arriva al 68% nella fascia tra i 45 e i 65 anni di età.
Lo stipendio cresce al crescere del titolo di studio: un laureato italiano in media ha una retribuzione del 40% superiore a un non laureato (la media nei diversi Paesi dell’Ocse è del 57%). La differenza arriva a eguagliare il dato Ocse del 57% per chi ha un master di secondo livello. Per chi è in possesso di un master di II livello le retribuzioni aumentano fino al 118% tra i 25-34 anni e i 45-54 anni, inoltre, il 48% di chi ha un master di II livello è dirigente o quadro, mentre solo il 6% dei diplomati di scuola superiore arrivano a ricoprire tali cariche. Un titolo di studio terziario è quindi un acceleratore di carriera e quindi un veicolo per raggiungere stipendi maggiori.
Il livello di disoccupazione fra coloro che non hanno titoli o arrivano al massimo alla licenza elementare è quasi quattro volte superiore a quello dei laureati (17,5% contro 4,6%). Fra i Paesi Ocse il nostro Paese è il quarto con la disoccupazione giovanile più alta, con un tasso ben superiore al doppio della media, preceduto da Grecia Turchia e Spagna. In questo scenario, negli ultimi dieci anni, la laurea si è dimostrata la “barricata” più solida per contrastare la disoccupazione giovanile: nonostante i periodi non favorevoli, la disoccupazione tra i laureati è uguale a quella del 2009 (11,9% nel 2019; 11,6% nel 2009), mentre in tutti gli altri casi è cresciuta sensibilmente (fino a 10 punti percentuali per chi non ha titolo di studio o al massimo la licenza media).
L’ingresso nel mondo del lavoro dei laureati è lento e fra quelli occupati pesa molto il fenomeno della “sovra-istruzione”. Oltre il 15% dei laureati italiani di qualsiasi livello è disoccupato dopo un anno dal conseguimento del titolo. La percentuale cala fra il 6% e il 7% dopo cinque anni. Questa difficoltà a entrare subito nel mondo del lavoro, insieme a un offerta di laureati in materie politico-sociali e umanistiche fortemente eccedente la domanda, spiega in gran parte come mai il 42,1% dei giovani laureati sia costretto a rivedere al ribasso le proprie aspettative e si trovi a svolgere un lavoro per cui potrebbe essere sufficiente un livello di istruzione inferiore (secondo il Rapporto Annuale Istat 2019, fra i giovani lavoratori laureati fra i 25 e i 34 anni, quattro lavoratori su dieci circa risultano sovra-istruiti).
Laurearsi in Ingegneria e discipline scientifiche offre le migliori prospettive occupazionali. Nella classifica stilata da Alma Laurea (2019) sul livello di probabilità di trovare un impiego, al top della classifica si trovano i laureati in Ingegneria, area scientifica e Medicina. Al fondo Psicologia, Scienze giuridiche e Lettere. Fra la cima e il fondo della classifica la probabilità di trovare un impiego aumenta di circa quattro volte.
Le facoltà che prospettano le migliori e le peggiori retribuzioni (tra i 25 e i 34 anni). Le migliori: Ingegneria gestionale (32.665 euro: +7, 3% della media nazionale), Ingegneria chimica e dei materiali (32.063 euro: +5,3% della media nazionale),Scienze statistiche (31.962 euro: +5% della media nazionale). Le peggiori: Scienze storiche e filosofiche (27,261 euro: -10,5% della media nazionale), Scienze della terra (26.734 euro: -12,2% della media nazionale), Lingue e letterature straniere (26.086 euro: -14,3% della media nazionale).
Le Università che prospettano le retribuzioni migliori e peggiori(tra 25 e i 34 anni). Le Università dove si guadagna di più sono: l’ Università Commerciale Luigi Bocconi (35.081 euro: +15,2% rispetto alla media nazionale), Luiss Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli (32.980 euro: +8,3% rispetto alla media nazionale) e il Politecnico di Milano (32.796 euro:+7,7% rispetto alla media nazionale). Le peggiori: Università degli Studi di Ferrara (29.460 euro: -3,2% rispetto alla media nazionale), Università degli Studi di Cagliari (29.233 euro: -4% rispetto alla media nazionale) e Università degli Studi di Perugia (29.002 euro: -4,7% rispetto alla media nazionale).
«Ci sono dati paradossalmente discordanti fra rendimento dell’istruzione terziaria (in termini di occupazione, carriera e reddito) ed impegno dei giovani rispetto ad essa. Le motivazioni – spiega Alessandro Fiorelli, ceo di Jobpricing – sono da ricercare, molto probabilmente, nel fatto che investimenti dello Stato in questo campo sono troppo bassi (3,6% del Pil contro il 5% medio dell’area Oecd), soprattutto a livello terziario (in Italia spendiamo il 25% meno della media Oecd) e che manca un orientamento sistematico degli studenti. Ancora troppo spesso si studiano le cose sbagliate (l’orientamento verso le discipline Stem è ancora basso, sebbene una laurea in ambito ingegneristico o scientifico aumenti dalle 3 alle 4 volte la probabilità di trovare lavoro rispetto ad una in ambito politico-sociale e umanistico). A questi fattori, poi, si aggiunge il ben noto problema del collegamento inefficace fra mondo accademico e mondo delle imprese».
«Gli investimenti delle famiglie italiane in termini di formazione rendono – conclude Matteo Agrifoglio, Executive director di Spring Professional -. A certificarlo è la nuova edizione dell'University Report che non manca però di sottolineare alcuni importanti disallineamenti.Sappiamo che il mercato del lavoro sta vivendo una profonda crisi destinata a cambiarne il volto nei prossimi anni, e sappiamo anche che già oggi, una percentuale non piccola di mansioni è svolta da personale con competenze inferiori alla funzione svolta e, contemporaneamente, c'è una platea di lavoratori che possiede competenze superiori alle mansioni cui è dedicato. Queste anomali si riflettono pesantemente sulle retribuzioni pure in uno scenario complessivo in cui formazione elevata fa rima con stipendi maggiori. Va da sè che in questo contesto, in cui nuove figure professionali si stanno delineando e si creeranno nelle aziende da qui a qualche anno, seguendo le evoluzioni sociali ed economiche che la crisi Covid-19 sta imponendo, è fondamentale operare scelte sul percorso di studi con una visione al futuro. Puntare su competenze non richieste dal mercato o avere competenze mal utilizzate, producono disomogeneità nelle retribuzioni e nei percorsi di carriera. Fondamentale in questo quadro, quindi, da un lato studiare il mercato per costruire il proprio percorso di studi, dall'altro continuare a investire nella formazione continua, fondamentale per aggiornarsi e coltivare le competenze hard e soft che sono di volta in volta fondamentali».