Torino. «Un patto tra università e imprese per favorire il trasferimento tecnologico»
Studenti da tutta Italia ma anche dall’estero per una comunità impegnata nella ricerca e aperta alla collaborazione con le aziende le istituzioni e il Terzo settore Torino
Un patto per crescere insieme, per mettere al servizio delle imprese didattica e ricerca e quindi quell’innovazione che davvero serve allo sviluppo. Pensando ai giovani e alla necessità di competenze nuove. Stefano Corgnati, rettore del Politecnico di Torino appena insediatosi, non ha timore di dire le cose come stanno e ad Avvenire spiega: «Le imprese hanno sempre di più una forte domanda di innovazione tecnologica e di competenze costantemente aggiornate. Noi dobbiamo sempre di più essere in grado di rispondere come sistema coordinato, con una forte didattica e una altrettanto forte ricerca, unite alla capacità di trasferire tecnologia e innovazione».
Da dove si comincia?
Dalla consapevolezza di chi siamo. Il Politecnico di Torino è una grande comunità che è anche un’istituzione formidabile con numeri e capacità per essere, ancora di più oggi, un punto di riferimento per il territorio, le istituzioni e il suo sistema produttivo.
Il secondo passo?
Alle imprese dico: facciamo un patto di sviluppo. Il Politecnico offre capacità di ricerca e innovazione e si mette a disposizione delle aziende per creare le condizioni per il loro sviluppo. Condizioni reali, concrete, che partano dalle esigenze dei mercati e della produzione, dai costi, dalla necessità di essere competitivi. Aggiungo: non è necessario essere una grande azienda per collaborare con noi.
Le imprese si confrontano con il mondo e hanno bisogno di risposte rapide. Anche noi abbiamo un orizzonte internazionale. Anzi, la nostra credibilità si gioca a livello internazionale. Se siamo credibili a confronto con i più forti centri di ricerca e formazione nel mondo, possiamo esserlo anche in Italia. Solo così saremo davvero motore propulsore di innovazione per il territorio e per le imprese. E non ci rivolgiamo solo al Nord-Ovest. Sono consapevole della necessità di avere risposte rapide, la scienza però non sempre può permettersi la velocità, mentre so che sui mercati si vince soprattutto con la qualità, l’innovazione, la tecnologia, la competenza, l’affidabilità.
Parliamo di competenze, e quindi di didattica.
Noi siamo una scuola. Ogni anno migliaia di giovani, anche dall’estero, arrivano qui, si formano, si specializzano. Abbiamo però una sfida da vincere: continuare a identificare e avviare percorsi formativi calibrati sulle esigenze del territorio e quindi delle imprese. Sono convinto che una didattica generica non risponde più alle necessità di un sistema sociale e produttivo moderno. È necessario cambiare radicalmente paradigma: dobbiamo fare del dialogo con il sistema produttivo uno dei nostri fari più di quanto sia oggi. Condizione che d’altra parte vale per tutti gli atenei.
Lei insiste molto sull’immagine di una comunità politecnica che si rivolge al territorio: istituzioni, terzo settore, imprese. In concreto?
Io credo che il Politecnico debba aiutare ad interpretare correttamente i grandi fenomeni che toccano la nostra società e le imprese, i lavoratori. E dobbiamo farlo con chiarezza, in modo comprensibile ed efficace. Tenendo conto che l’innovazione tecnologica è fondamentale per tutti gli aspetti della vita economica e sociale.
Qualche esempio?
La transizione ecologica, il nucleare, la sicurezza idrogeologica, i gas serra. Senza dire dell’Intelligenza Artificiale, che non deve essere un moloch ma uno strumento di sviluppo equilibrato.
Uno dei mantra che si coglie di più nella vostra comunità è “ trasferimento tecnologico”.
Certamente. Passa tutto da lì: il futuro dei nostri allievi e quello delle imprese, l’importanza della ricerca che non può essere confinata ai nostri laboratori, il nostro ruolo, la nostra utilità.