Economia

L'analisi. Produrre 1 milione di auto in Italia è quasi impossibile: ecco perché

Alberto Caprotti mercoledì 3 aprile 2024

La musica è cambiata, come l’oggetto del desiderio: l’antico sogno proletario di poter avere mille lire al mese, è diventato l’obiettivo governativo di almeno un milione di automobili da produrre all’anno dal 2030 in poi. Illusione o possibilità che sia, è questo il numero minimo che il governo Meloni ritiene necessario per difendere l’occupazione e garantire un futuro al settore nel nostro Paese.

Le cifre – che raramente mentono – direbbero che si tratta di una possibilità poco realistica. A fine 2023 pur migliorando del 15% rispetto all’anno precedente, l’Italia per produzione era ultima in classifica tra i quattro maggiori Paesi in Europa: 752 mila veicoli costruiti (di cui 540 mila autovetture), contro i 4,1 milioni in Germania, gli 1,9 milioni in Spagna, e 1 milione in Francia (dati Anfia), con Italia e Francia che hanno accusato la riduzione più forte tra il 2000 e il 2023 (-61,9% e -63,2%). Le prospettive di motorizzazione europea per i prosimi anni, secondo la maggioranza degli analisti, parla di una contrazione delle vendite, o comunque di numeri stabili rispetto agli attuali. Secondo quanto emerge dal report di Rome Business School “Il futuro dell’automotive. Produzione, sostenibilità e lotta alla contraffazione”, tuttavia nel 2021 le 2.329 imprese produttrici di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi operanti in Italia hanno generato un fatturato pari a 68,5 miliardi di euro, che rappresenta ben il 6,4% dei ricavi dell’intera manifattura italiana. Inoltre malgrado l’elettrificazione non sia certo un fiore all’occhiello nazionale, il nostro Paese gode ancora di una classe operaia altamente specializzata e di designer di fama mondiale.

Non siamo alla frutta dunque, ma le frizioni con Stellantis – il Gruppo che monopolizza di fatto la produzione automobilistica nelle nostre fabbriche – stanno ritardando l’indispensabile processo di crescita e di conversione. L’Italia è ferma da tempo a quel “tavolo” che avrebbe già dovuto portare ad accordi precisi. Mentre proliferano blocchi della produzione e settimane di cassa integrazione, si sono aperti ieri confronti sui singoli stabilimenti, con Stellantis che da parte sua ha più volte ribadito di essere «pronta al dialogo» e «in grado di raggiungere il target voluto dal governo anche prima del 2030, solo se si creassero condizioni favorevoli». Ma al tempo stesso l'azienda di Carlos Tavares è sempre più «decisa a produrre dove può essere più competitiva». Ed è un fatto che oggi, gli oneri energetici e di gestione degli impianti in Italia costano quasi il doppio rispetto, ad esempio, a quelli della Spagna.

Per questo risolvere i nodi strutturali e favorire le iniziative imprenditoriali sul nostro territorio diventa indispensabile, ma estremamente complicato. Come pure insistere nella ricerca di altri costruttori stranieri disposti ad investire in siti produttivi italiani. Per non dipendere esclusivamente da Stellantis, ma anche per non perdere il treno di un’industria automotive che si è già trasformata ed è oggi di fatto in mano alla Cina. Il ministero assicura che sono «almeno 6 o 7, forse anche 8» (con quel "forse" che suona poco chiaro) i marchi interessati a sbarcare in Italia. Ma di concreto sinora c'è che il colosso BYD, che sembrava intenzionato ad aprire una fabbrica da noi, ha scelto invece l’Ungheria. E anche Chery, altro gigante asiatico che pure ha avviato un dialogo serio con il nostro governo, potrebbe alla fine deviare sulla Spagna.

Allo stato attuale dunque, il governo – che ha comunque accantonato 14 miliardi di euro per l’automotive – è costretto a trattare senza avere il coltello dalla parte del manico con Stellantis per difendere le fabbriche del Gruppo, e in particolare i quattro stabilimenti principali, due dei quali (Melfi e Cassino) potranno contare sull’assegnazione di nuove piattaforme pensate principalmente per l’elettrico, che daranno origine a 7 o 8 nuovi modelli nei prossimi quattro anni. Più complesse le prospettive per Pomigliano e Mirafiori, il cui ruolo non è ancora chiarissimo. Come non lo è affatto il futuro dell’elettrificazione, altra variabile determinante per fare previsioni corrette sulla la temuta contrazione dell’occupazione.