Innovazione. Un ddl Concorrenza avaro con il mondo delle startup
Francesco Cerruti
Le aspettative erano elevate ma il testo approvato, finito nel calderone del disegno di legge per la concorrenza licenziato a fine luglio, non convince gli addetti al settore. Francesco Cerruti, direttore generale di Italian Tech Alliance (Ita), l’associazione italiana del Venture Capital, parla di un’occasione, “rimandata” al momento e non persa, per fare un salto di qualità. La speranza è che ci sia un secondo round nei prossimi mesi. «Dopo un anno di lavoro al Mimit con associazioni di categoria e legali con l’obiettivo dichiarato di varare una riorganizzazione e la stesura di una sessantina di pagine, ci aspettavamo un intervento consistente, una sorta di Startup Act 2.0». Una riforma complessiva della legge Monti-Passera di 12 anni fa. I sei articoli del ddl invece contengono secondo Cerruti «misure laterali» che non danno quella spinta necessaria a coprire l’enorme divario tra l’Italia e gli altri Paesi e lasciano l’impressione che il governo non abbia tra le sue priorità il sostegno alle startup e all’innovazione. Ci sono tre grandi tipologie di interventi. «Il primo è un restringimento della platea con l’introduzione di criteri, tra i quali 20mila euro di capitale sociale e un dipendente entro due anni, per essere classificate startup» spiega Cerruti. Per le imprese attive nei settori strategici definiti dalla disciplina del golden power l’iscrizione al registro durerà 7 anni invece dei canonici 5. Il secondo riguarda gli incubatori con agevolazioni fiscali a partire dal 2025, che permetteranno una deduzione del 30% della somma investita, fino a un massimo di 1,8 milioni di euro. «Previsto infine un aumento degli incentivi per attrarre gli investimenti da parte di investitori privati e istituzionali e anche stranieri interessati alle startup italiane». In particolare, è stata inserita una quota minima del 2% che gli enti di previdenza dovranno destinare agli investimenti in fondi di Venture capital. Una percentuale che potenzialmente mobilita 3 miliardi di euro. Per Cerruti sono misure insufficienti per colmare un ritardo strutturale. «Il rapporto tra gli investimenti in innovazione in Italia rispetto alla Francia è di uno a 6, con il Regno Unito di 1 a 15, solo per fare qualche esempio. Anche la Spagna ci ha superato, con un 50% in più. Dati che fanno pensare che le startup non siano considerate strategiche». Probabilmente, spiega il direttore di Ita, c’è stato un eccesso di fiducia nella comunicazione del ministro Urso che ha alimentato le aspettative.
«C’è da dire che il Mimit ha spiegato di non ritenere esaurita la questione» aggiunge. Il “sottodimensionamento” delle misure approvate potrebbe venire corretto in corsa in almeno tre momenti: la conversione in legge del ddl la legge annuale delle pmi e il classico appuntamento con la legge di bilancio. Le richieste dell’associazione sono molteplici: innanzitutto un’accelerazione «sugli incentivi e le agevolazioni agli investitori istituzionali come le casse previdenziali », in secondo luogo normative fiscali che tengano conto «della straordinarietà delle startup in caso di crisi d’impresa e della complessità dell’applicazione del regime di golden power». Essenziale anche «una rimodulazione del credito d’imposta per ricerca e sviluppo che molte realtà riescono ad ottenere solo dopo anni».
Dopo una fase di crescita nel 2022 con quasi due miliardi di raccolta, negli ultimi due anni si assiste ad una flessione dei fondi disponibili, in linea con quanto avviene nel resto d’Europa. Secondo i dati di Infocamere al momento sono attive circa 13.600 startup. Tra i settori principali c’è tutto il comparto medicale, e quello del made in Italy dalla moda al design all’alimentare. «Ma c’è da segnalare il caso Milano con il fintech legato al mondo della finanza, e la nascita del climate tech incentivato dalle norme europee sulla transizione energetica» conclude Cerruti. Le eccellenze italiane, insomma, ci sono e anche l’impatto sul mondo dell’occupazione è consistente, considerando che creano il 67% dei nuovi posti di lavoro secondo un recente studio del Cerved.