Lo studio. Turismo e cura del territorio: «Così l’impresa fa comunità»
Come stanno cambiando le imprese di comunità, in particolare quelle di tipo cooperativo? Innanzitutto il loro numero è in forte crescita: negli ultimi quattro anni queste particolari forme di impresa sono passate da 109 a 260, dunque sono più che raddoppiate, anche se 17 di queste risultano a fine 2023 in liquidazione, a sottolinearne ancora una certa fragilità. I dati sono contenuti nel rapporto diffuso ieri da Euricse “Le imprese di comunità in Italia. Tratti distintivi e traiettorie di sviluppo”, che sottolinea come le imprese di comunità siano considerate in particolare uno strumento per migliorare lo sviluppo locale nelle aree rurali e urbane emarginate. Il loro modello è quello della “mutualità allargata”, non rivolgendosi solo all’interesse dei loro soci, ma a tutti gli abitanti di un determinato luogo. Inoltre, le imprese di comunità si integrano al meglio con altre forme di comunità intraprendenti, come le comunità energetiche, i community hub, le portinerie di quartiere o i patti di collaborazione.
A livello regionale, spiega lo studio Euricse, l’aumento più significativo di imprese di comunità in termini assoluti si registra in Toscana, anche grazie ai bandi di finanziamento regionale, e in Abruzzo, grazie all’azione portata avanti da Confcooperative Abruzzo. Le imprese di comunità tendono inoltre a localizzarsi maggiormente nelle aree interne, i Comuni italiani più periferici in termini di servizi essenziali. Cresce il ruolo del Terzo settore nella promozione delle imprese di comunità (12% dei casi). Nel 67% dei casi, queste imprese prendono forma però grazie a un gruppo di individui che condivide degli obiettivi comuni legati al proprio territorio di residenza e che decide di strutturarsi in forma di impresa per perseguire nuovi obiettivi di sviluppo locale e nuove economie sul territorio.
Quasi mai, sottolinea il rapporto, è solo una motivazione a portare alla costituzione di imprese di comunità: è frequente che all’obiettivo di offrire servizi mancanti, si associ quello di contrastare lo spopolamento, di valorizzare le risorse locali, di riqualificare un’area. Attualmente, peraltro, un’impresa di comunità su tre ha attivo un solo settore di attività. La maggioranza delle imprese ha il turismo come una delle attività principali, spesso legata ad attività di agricoltura, commercio, servizi alla persona o cultura.
La base sociale delle imprese di comunità presenta nella maggioranza dei casi un numero compreso tra i 9 e i 25 soci (24%), seguite da quelle che hanno tra i 26 e i 50 soci (16%). Nel 53% dei casi il rapporto con la pubblica amministrazione viene definito di collaborazione, ma nel 36% dei casi si registra un rapporto di indifferenza. Per quanto riguarda le fonti di finanziamento, le imprese di comunità adottano prevalentemente lo strumento del finanziamento pubblico, che si traduce nella partecipazione a bandi e appalti comunali e regionali, ma anche affidamenti diretti per importi inferiori ai 40mila euro.
I principali servizi che vengono appaltati o affidati direttamente riguardano la gestione del verde pubblico, le mense e il trasporto scolastico. Ancora non adeguatamente utilizzati, invece, i bandi europei, spesso per mancanza di competenze adatte, mentre indispensabili sono spesso i fondi privati provenienti dalle centrali cooperative, da organizzazioni for profit e da fondazioni bancarie.
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