Economia

Il report. Troppe tensioni, si perde la spinta della globalizzazione

Cinzia Arena mercoledì 31 gennaio 2024

Tensioni nel Mar Rosso per attacchi dei miliziani yemeniti

La globalizzazione non è più una garanzia per la crescita. Il contesto geopolitico degli ultimi anni, dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina iniziata nel 2018 alla recente crisi del trasporto marittimo in Mar Rosso legata alle tensioni in Medio-Oriente, passando per il conflitto tra Russia e Ucraina, ha portato ad un significativo ridisegno delle rotte del commercio e alla fine di un’epoca. A certificarlo l’ultima edizione del Global Trade Report della società di consulenza Boston Consulting Group (Bcg) dal titolo “Jobs, National Security, and the Future of Trade”. Il commercio globale per la prima volta in vent’anni sta crescendo a un ritmo più lento rispetto all’economia mondiale e questa tendenza è destinata a consolidarsi. Crescerà del 2,8% all’anno da qui al 2032, mentre il Pil sarà più veloce, con una media annua del 3,1%.

«Le dinamiche che osserviamo attualmente sulle rotte commerciali, se non riportate presto sotto controllo, potranno generare sia effetti diretti nel nostro Paese, come l’inflazione e l’aumento dei costi di trasporto, sia indirette, mettendo in crisi la prevedibilità e l’affidabilità delle catene di fornitura, arrivando potenzialmente a cambiare il vantaggio competitivo di alcune aree del mondo» sottolinea Fabio Dal Pan, managing director e partner di Bcg. Non si tratta infatti di cambiamenti provvisori ma strutturali. Da qui la necessità di un’inversione di rotta, che la Ue in qualche modo ha già intrapreso con misure destinate ad una maggiore indipendenza e resilienza nei settori strategici. A partire dal Green Deal che sta incentivando le aziende a spostare la produzione in aree locali (il reshoring è una tendenza globale che di per sé deprime il commercio). Il valore reale degli scambi nella Ue crescerà del 2,1% all’anno, raggiungendo i 16.300 miliardi di dollari entro il 2032. Si rafforzerà il legame con gli Usa, con il commercio di beni in crescita del 38%, tra i mercati emergenti prenderanno il volo India (66%) e Turchia (23%).

Sono cinque i fattori geopolitici che cambieranno lo scenario del commercio globale. Sono stati calcolati sulla base del Global Trade Model, che utilizza l’intelligenza artificiale e le correlazioni storiche per creare previsioni decennali. Il modello analizza 250 Paesi esportatori in 14 aree chiave, processando oltre 500 milioni di dati e indicatori macroeconomici. Le tensioni commerciali tra Cina e Occidente continueranno a produrre un sensibile ridimensionamento degli scambi tra Usa e Cina con un calo stimato di 197 miliardi in dieci anni. Il commercio tra Pechino e l’Ue continuerà invece a crescere, ma più lentamente della media globale. La frenata dell’economia cinese, oggi principale esportatore di beni manifatturieri ma con un’economia domestica lenta e costi di produzione in aumento, avrà un effetto determinante sul rallentamento della crescita del commercio. Gli Stati Uniti, il Canada e il Messico beneficeranno del loro accordo commerciale (Usmc Agreement). Le nazioni del Sud-est asiatico riunite nell’Asean trarranno i maggiori vantaggi, con stime di crescita degli scambi di 1.200 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, la metà dei quali con la Cina. Saranno infatti, insieme all’India le mete preferite per le aziende che cercano di diminuire la dipendenza dalla Cina. L’India può contare su costi di produzione bassi, una forza lavoro sempre più capace e una logistica in miglioramento: il suo commercio crescerà in media del 6,3%. Il conflitto in Ucraina, infine, continua a spingere gran parte del commercio della Russia verso i paesi Bric (Brasile, Cina, India e Sud Africa).