Manovra. Treu: riscrivere il testo pensando ai giovani
Una bocciatura largamente preannunciata. Anche Tiziano Treu, presidente del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) non sembra meravigliato più di tanto da questa forte opposizione che arriva da Bruxelles, ma anche da gran parte degli addetti ai lavori italiani.
Che cosa non la convince di questa manovra?
Non c’è una visione a medio termine. La bocciatura dalla Commissione europea è maturata dopo che ci sono state diverse osservazioni anche da parte di realtà interne all’Italia. Noi del Cnel, per esempio, avevamo evidenziato l’assenza di investimenti nella formazione.
Si spieghi meglio…
Non siamo tanto preoccupati dalle previsioni di crescita, che francamente ci sembrano irrealistiche, visto il quadro economico generale. O dallo sforamento del deficit. Siamo preoccupati da questa totale assenza di risorse da destinare alla formazione di giovani da inserire nel mondo del lavoro.
Spera in qualche modifica?
Lo auspichiamo. La speranza è che in tre settimane la manovra possa essere rivista. Siamo isolati. L’intero impianto della manovra andrebbe cambiato. Puntare sugli investimenti pubblici potrebbe avere delle ricadute sull’immediato. Ma si doveva investire molto di più nella riqualificazione delle infrastrutture. E in particolare occorreva una maggiore attenzione sul capitale umano.
In che senso?
In Italia abbiamo appena il 26% di giovani con una istruzione superiore, contro una media europea del 40%. Il Cnel insiste molto su questo aspetto. Il ritardo nel settore dell’istruzione si paga con la difficoltà delle imprese a trovare personale con le competenze adatte ad affrontare un mondo sempre più tecnologico, dominato dall’innovazione, dal digitale e dall’Intelligenza artificiale.
Ma i robot non tolgono posti di lavoro?
A rischio sono soprattutto le professioni di livello medio o mediocri. Nelle aziende che investono nelle nuove tecnologie e che accompagnano lo sviluppo con la formazione adeguata del personale la convivenza è possibile. Nelle imprese che operano in territori dove esistono forti reti relazionali e di collaborazione la situazione è meno tragica.
Non le sembra che sia in corso una sorta di guerra tra generazioni? Anziani costretti a lavorare e giovani eternamente precari o sottoccupati...
Già nel 1995 avevamo proposto una previdenza contributiva con una flessibilità in uscita. La riforma Fornero è stata troppo brusca. È disumano costringere le persone a lavorare con un salto di cinque anni e mezzo. Invece bisognava evitare gli esodati e favorire l’uscita per chi ha un lavoro usurante o si trova in condizioni di salute o familiare difficili.
La quota 100 può aiutare il ricambio?
Non mi sembra la soluzione adatta. Si dà l’opportunità di andare in pensione a circa 400mila 60enni, ma non si offrono quei servizi di accompagnamento ai giovani che aspirano a trovare un lavoro adatto alle proprie competenze e alle proprie aspirazioni.
Il reddito di cittadinanza potrebbe essere la soluzione?
Se non si potenziano i Centri per l’impiego mi sembra una fatica inutile. Tutti i Paesi europei forniscono servizi adeguati di accompagnamento o di reinserimento nel mondo del lavoro. La Germania può vantare 100mila addetti: tutti formati, con forti relazioni con il territorio e il settore produttivo. In Italia abbiamo appena 9mila addetti nei Centri per l’impiego. Con la ministra Turco avevamo sperimentato il potenziamento dei Centri per l’impiego: in alcune aree del Centro-Nord avevamo ottenuto buoni risultati, altrove no per mancanza di contesto economico e di servizi adeguati.
Nemmeno gli incentivi e il Jobs Act possono aiutare?
Non bastano. Una volta esaurita la spinta iniziale, difficilmente un imprenditore assume un giovane che non ha competenze. Il reddito di cittadinanza non deve essere considerato un sussidio, ma un’occasione per formare le persone e prepararle in maniera adeguata. Ecco perché il Cnel insiste sul potenziamento dei percorsi formativi e dell’istruzione.